Combattere l'emarginazione dando ai “matti” un nuovo nome: quello di attori; mettere a soqquadro i poteri forti scandagliando gli interessi del proibizionismo sul mercato della droga; far ridere e innamorare il pubblico con una vicenda complicata. Sono queste le storie forti, orgogliose, del cinema brasiliano contemporaneo. Storie che raccontano la realtà complessa di un Paese in grande cambiamento ma che sanno parlare a tutto il mondo. Per questo i membri dell'Istituto culturale Brasile-Italia (Ibrit) le hanno scelte come teste di ponte al festival del cinema brasiliano che si svolge in questi giorni a Milano.
Ospitata al cinema Gnomo, la rassegna si propone di raccontare l'eccezionale panorama cinematografico brasiliano attraverso sette lungometraggi e due categorie di cortometraggi. In un incontro all'Università Cattolica, cui hanno partecipato il direttore di Almed Ruggero Eugeni ed Elena Mosconi, docente di Storia e critica del cinema, tre dei registi più importanti di questa rassegna si sono presentati agli studenti dell'ateneo. Stiamo parlando di Marcello Laffite, regista e ideatore del film "Elvis e Madonna", pluripremiato lungometraggio che racconta la storia d'amore fra un viados di strada e una ragazza lesbica di famiglia benestante. Con lui Juliana Barreto, attrice, regista e direttrice del gruppo di lavoro "Sapos Afogados", un progetto di sperimentazione teatrale e cinematografica con gli ex internati del manicomio di Belo Horizonte. Infine, Rodrigo Mac Niven, giornalista e regista del documentario "Cortina de fumaça", un'indagine senza scrupoli sui danni e gli interessi del proibizionismo contro gli stupefacenti. Mac Niven, con il supporto del Leap (Law Enforcement against Prohibition, un gruppo di avvocati che si battono contro il proibizionismo), è riuscito a dimostrare i problemi di una politica cieca che invece di tutelare i giovani dall'uso di sostanze stupefacenti alimenta la criminalizzazione delle favelas, soffoca il sistema penale e difende gli interesse dei trafficanti.
La presenza dei tre registi, che hanno raccontato il loro lavoro, è stata una parabola efficace dei problemi e delle risorse di un Paese emergente quale il Brasile. «Il pubblico - ha detto Laffite - è abituato a pensare che film come "Tropa de elite" o "Ciudad de deus" siano il ritratto del Brasile. Niente di più falso. Quella è l'immagine che del nostro Paese vogliono dare le élites dominanti: un Paese in cui i poveri muoiono e i problemi sono tutti nelle favelas. Il cinema brasiliano invece è oggi più che mai attento ai problemi della società in ogni strato sociale. Raccontiamo senza filtro i problemi economici, culturali e sociali del nostro Paese, ma anche la sua speranza, la gioia e la volontà di cambiamento. Come nella mia storia».
Un Brasile coraggioso è quello raccontato anche da Juliana Barreto con il suo gruppo di utenti psichiatrici: «Il film che presentiamo a Milano si intitola "Material Bruto", materiale grezzo. Gli attori sono tutti dei "matti". Alla fine delle proiezioni, in Brasile, la gente ci chiedeva: "Ma chi sono quegli attori eccezionali?". Nessuno voleva credere fossero dei "pazzi". Così combattiamo lo stigma, rendendo il cinema un po' più delirante e gli utenti psichici attori veri, come potremmo essere noi».
Anche Rodrigo Mac Niven, l'autore del documentario sul proibizionismo e il mercato della droga, ha volto sottolineare quanto nel cinema sia importante il metodo oltre al contenuto: «Quando ho iniziato le ricerche per "Cortina de fumaça" non sapevo dove sarei arrivato. Sono un giornalista, e stavo conducendo un'inchiesta. A un certo punto mi sono chiesto: ma noi siamo solo spettatori della vita pubblica come cittadini o ne possiamo prendere parte? E mi sono risposto che io vi volevo partecipare». Una scelta che l’ha portato a scegliere la via del documentario indipendente: «Ho prodotto questo documentario in modo totalmente autonomo – ha concluso Mac Niven - finanziato solo coi soldi di chi ha partecipato. Perché volevo porre delle domande agli spettatori, dare strumenti per prendere una decisione».