«La giustizia è un diritto fondamentale e per tanto indivisibile. Non ci si può accontentare di servirla in un ambito ristretto: dobbiamo renderla accessibile a tutti». Nasce così la missione di Silvana Arbia nel suo ruolo di Former Registrar (cancelliere) della Corte Penale internazionale dell'Aia, l'organismo istituito dal Trattato di Roma del 1998 per punire i crimini contro l'umanità, i genocidi e i crimini di guerra. Un incarico che l'ha portata il 3 maggio ancora nell'ateneo di largo Gemelli a raccontare agli studenti della facoltà di Scienze Politiche e sociali cosa l'ha condotta a lasciare i tribunali italiani per seguire la strada di una giustizia penale internazionale tutta da costruire. Alla conferenza La questione delle vittime nel sistema della Corte penale internazionale: da Roma a Kampala e oltre, presieduta da Ugo Draetta, già docente di Diritto internazionale, hanno partecipato il preside della facoltà Guido Merzoni e il direttore del dipartimento di Scienze politiche Massimo de Leonardis.
Proveniente da un piccolo paese della Basilicata in cui tanti fatti criminosi non arrivavano alle aule dei tribunali, Silvana Arbia l'amore per il diritto l'ha sviluppato fin da giovanissima. «La scelta di studiare Giurisprudenza è nata dalla voglia di legalità e di dar risposte a chi ne chiedeva». Dopo gli anni da Pubblico ministero e Giudice d'Appello a Milano, il bisogno di lavorare per la legalità l'ha spinta a nuove e più ampie sfide. Quell'idea di diritto fondamentale e pertanto indivisibile l'ha portata a vivere lo stato nascente delle corti internazionali e a diventare prosecutor (procuratore) nel Tribunale Criminale Internazionale per il Rwanda. «Anche se era solo l'inizio della storia delle corti criminali internazionali - afferma -, mi sono sentita chiamare dall'idea di dare il mio contributo a fronte di un genocidio che nel 1994, dal cuore dell'Africa, ha toccato le coscienze anche di tutti noi europei» spiega la Arbia.
Fra i compiti più delicati della Corte internazionale c'è quello di salvaguardare le vittime. Un incarico che Silvana Arbia reputa di primaria importanza. «Quando mi occupavo del Rwanda -racconta - ho capito quanto fondamentale fosse, perché spesso la popolazione non sa di poter far la sua parte nel processo contro i crimini». La Corte penale internazionale dal 2002, quando entrò in vigore lo Statuto scritto nel Trattato di Roma a cui la Arbia partecipò come membro della delegazione italiana, è oggi un'istituzione permanente. Da quel giorno la Corte ha operato incessantemente, giudicando crimini come il genocidio o la violazione dei diritti umanitari. Almeno per i Paesi che vi hanno aderito, che sono attualmente 121, a fronte di alcuni che non l'hanno fatto, come Cina e Russia, e di alcuni che hanno firmato ma non ratificato, come gli Stati Uniti e Israele.
«La Corte - conclude Silvia Arbia chiedendo all'ateneo di largo Gemelli di continuare il suo impegno nella formazione giuridica e nella divulgazione dell'operato di questi nuovi organismi internazionali - è la più grande evoluzione della diplomazia dopo l'Onu e ha sconvolto il sistema punitivo intervenendo nella sovranità degli stati. Tutti, anche quelli che non vi aderiscono, riconoscono l'importanza della sua istituzione».