mons.Mazzolari«Ne abbiamo abbastanza della guerra. Ora è il momento della costruzione.» A dirlo forte è monsignor Cesare Mazzolari, missionario comboniano e vescovo di Rumbek, capitale dello Stato dei Laghi, nel Sudan del Sud.

In occasione della presentazione del libro “Diario di un viaggio in Sudan”, realizzato dalla Scuola Internazionale di Comics in collaborazione con la Fondazione Cesar. Il libro vuole raccontare la bellezza di un Paese che ha sofferto troppo e ora si appresta a rinascere: «In Italia si sa ancora pochissimo del Sudan. È importante conoscere la sua storia, la sua sofferenza, per apprezzare e supportare con entusiasmo il cambiamento che vive oggi questa straordinaria popolazione».



Residente in Sudan dal 1981, mons. Mazzolari ha attraversato con quello che chiama “il suo popolo” la sanguinosa guerra civile iniziata nel 1983 e conclusasi solo nel 2005 con gli accordi di Naivasha. Dopo 22 anni di guerra il Sud del Sudan ha finalmente ottenuto di poter votare per il proprio futuro, con un referendum che si è concluso il 15 gennaio. «Il Sud Sudan non era affatto soddisfatto dagli accordi di pace del 2005, e da cinque anni si batteva per l’autodeterminazione. Questo referendum è stato accolto con immensa gioia dalla mia gente. Il primo giorno di voto le urne erano già zeppe di persone alle quattro del mattino: entravano e uscivano cantando e danzando. È stata una grandissima festa di giubilo per tutti noi».

Avevano accesso al voto solo coloro che potevano dimostrare di essere sud-sudanesi da quattro generazioni. Ha votato il 99% delle persone che ne avevano diritto, calcando le urne di tutto il Paese. Sono stati 4 milioni gli elettori che hanno fatto vincere il sì per la secessione del Sud dal governo di Karthoum. Con dei fattori inaspettati come la grandissima affluenza di donne, il 52% dei votanti. «Temevamo ci sarebbero stati scontri o violenze durante il voto ma non è stato così, e tutto si è svolto in maniera tranquilla. La partecipazione delle donne - spiega mons. Mazzolari - è il segno di un Paese in forte evoluzione: tempo fa sarebbe stato inconcepibile. Ora però bisogna che il governo del Nord accetti la separazione. Per l'esecutivo guidato da Bashir la secessione del Sud è un duro colpo: oltre alla perdita di prestigio e di autorità, Karthoum perde le ricchezze naturali del Paese, soprattutto il petrolio, che si trovano a sud.»

cartina sud sudanL’esito del referendum per il governo di Bashir, che è oggetto di due mandati di cattura internazionali per genocidio, rappresenta una bruciante sconfitta. Gli scenari possibili sono molti, da una rivolta interna a un nuovo faccia a faccia con Salva Kiir, il neo presidente del Sud Sudan. «Ci auguriamo che tutto questo non avvenga. Ora non importa ciò che ha fatto Bashir nel passato, dobbiamo guardare al futuro, non alla vendetta. Spero vivamente - auspica il vescovo di Rumbek - che anche il Nord possa stabilizzarsi e passare pacificamente a un regime più democratico. Siamo ancora tutti troppo traumatizzati dalla guerra per poterne sostenere un’altra». La democrazia è anche la grande aspettativa del Sud, dove Salva Kiir, cattolico praticante, eserciterà fin da subito la sua presidenza: «Salva Kiir è una persona molto positiva. Lo conosco bene, personalmente: il 29 dicembre l’ho visto per parlare del futuro della nazione. È assolutamente contrario alla corruzione, e non aspira al potere in quanto tale. Purtroppo è subentrato in un consesso di membri che gli sono a volte ostili, ma credo che ora potrà formare un governo di unità: la gente ha fiducia in lui. Io spero sinceramente che l’obiettivo del governo sia quello di coinvolgere tutti gli emarginati che fino ad oggi sono stati esclusi dalle decisioni politiche, e instaurare un regime democratico. La chiesa e gli organismi internazionali stanno facendo moltissimo per aiutare Kiir a costruire il futuro del Paese».

Il processo che porterà alla formazione di uno Stato sovrano a Sud è ancora lungo. Bisogna stabilire un accordo per i confini, che secondo il Sud dovrebbero essere elastici per permettere ai pastori di circolare liberamente tra le due regioni, ipotesi rifiutata categoricamente dal Nord. È ancora in sospeso la sorte del Darfur o della provincia di Abyei, un tempo cittadella presidenziale, combattuta fra i pastori del Nord e l’etnia dei Denka a sud. Sul tavolo delle negoziazioni il peso maggiore l’ha sicuramente il problema dello sfruttamento del petrolio. Ad oggi tutto il petrolio del Sud arrivava alle raffinerie di Karthoum con una rete di oleodotti che ora il governo di Kiir, al Sud, vorrebbe poter utilizzare, pagandone l’uso. Ma non sembra che Bashir abbia intenzione di accettare questa possibilità, tanto che si parla di una contrattazione già in atto tra il neonato governo del Sud Sudan e la Toyota per la costruzione di oleodotti che portino il petrolio direttamente a Mumbasa.

Ma in gioco non vi sono solo risorse e confini. Il governo di Bashir è stato accusato dall’Onu di genocidio per le violenze che i suoi militari filo islamici riservavano ai fedeli di altre confessioni presenti sul territorio nazionale, fra cui i moltissimi cristiani. Dopo anni di persecuzioni e di aggressioni reciproche la separazione sembra far intravedere un futuro di maggiore tolleranza religiosa. «La costituzione che vigeva in Sudan prevedeva la pluralità religiosa, ma era tutto falso. Una versione del testo sembrava prevedere la tolleranza religiosa, benché l’islam dovesse essere religione di stato ma in realtà noi cristiani - rivela - siamo stati perseguitati a lungo, subendo sofferenze inaudibili. Il referendum apre ora i battenti a una nuova fase, in cui le persone potranno essere libere di vivere le proprie scelte religiose. Per tutti questi anni vi è stato un grande accordo ecumenico tra le chiese del Sudan, ed ora questa è la solida base sui cui ora potremo costruire il futuro del Paese».

bambini sudanIl rischio di una polarizzazione confessionale è forte: molti cristiani residenti a Nord stanno iniziando a trasferirsi a Sud per paura di persecuzioni. Ma la speranza di monsignor Mazzolari è che questi timori si rivelino infondati: «Nella loro ultima lettera, i vescovi del Sud Sudan scrivono chiaramente che la secessione è un fattore puramente geografico, che non ha nulla a che vedere con la popolazione. Ci saranno chiese e moschee sia a Nord che a Sud, e ogni cittadino sudanese potrà scegliere liberamente dove vivere, perché la divisione è geografica, non religiosa. Lo stesso Papa, che ci ha ricevuti nel marzo del 2010, ci ha chiesto di impegnarci a scoprire le virtù comuni con il popolo islamico e di sforzarci per la riconciliazione. Queste parole hanno dato un grandissimo sostegno alla mia gente, la fiducia che sul perdono si possano costruire nuove speranze di pace».

E il popolo del Sud Sudan avrà sicuramente bisogno di pace per emergere da una situazione di profonda indigenza. «Siamo poveri, e saremo ancor più poveri all’esito ufficiale del referendum. Il nuovo stato sorge senza dirigenti, senza amministratori capaci, senza infrastrutture. Nei prossimi 5-10 anni, l’obiettivo del neonato governo è il capacity building, e la comunità internazionale e la chiesa avranno un ruolo fondamentale nella formazione dei futuri leader del Sud Sudan». Nonostante le guerre e la corruzione del governo, il Sudan ha sempre mantenuto dei tassi di crescita invidiabili rispetto agli altri Paesi africani, e non solo grazie alle risorse minerarie: «È difficile comprendere lo spirito dei sudanesi, ma ormai li conosco bene: hanno una capacità di resistere, di non cedere alle difficoltà, che non ho incontrato mai in nessun altro. Per ottenere qualcosa sono disposti a qualunque sacrificio, come è avvenuto ora per il referendum. Lo vedo negli occhi della mia gente, loro lottano e hanno sempre lottato per far crescere i loro figli in un Paese migliore».