A due settimane dalla canonizzazione e nello stesso giorno dell’attentato a Piazza San Pietro, avvenuto trentatré anni fa, il 13 maggio il convegno "Giovanni Paolo II e il Gemelli, la presenza di un santo nel nostro Policlinico", ha ricordato la figura di Karol Wojtyla. L’iniziativa, che si è svolta al Gemelli, è stato promosso dal Centro Pastorale dell’Università Cattolica, sede di Roma, in collaborazione con il Movimento Italiano per la Vita.
Lo storico portavoce del Papa Joaquin Navarro Valls, ospite d’onore alla Cattolica, ha dipinto il ritratto di un paziente speciale, attento a cogliere il senso della sofferenza nella vita dell'uomo. «Giovanni Paolo II – ha raccontato Navarro Valls - aveva un rapporto particolare con i medici, ai quali non si affidava pienamente. Un giorno, in occasione del ricovero successivo all’attentato, i medici erano nella stanza accanto a quella del Papa e si consultavano sulla data di dimissione di Giovanni Paolo II. A un certo punto il Papa entrò nella stanza, si sedette in mezzo ai sanitari disse: “Se permettete, non potete decidere da soli”».
Proprio il 13 maggio del 1981, a causa dell’attentato di Alì Agcà alla vita di Giovanni Paolo II a Piazza San Pietro e il conseguente drammatico ricovero ebbe inizio quello speciale legame tra il Papa Santo e il Gemelli, “il Vaticano Terzo”, come lui stesso affettuosamente lo definì affacciato alla finestra del decimo piano del Policlinico nel 1995, in occasione di uno dei suoi dieci ricoveri.
«Questa è una felice occasione per prolungare il clima dei festeggiamenti di canonizzazione dei Pontefici Santi, pilastro fondamentale della nostra istituzione», ha detto monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica. Anche Papa Giovanni XXIII ebbe infatti un legame speciale con la sede di Roma della Cattolica: il 5 novembre del 1961 fu lui a presenziare all’inaugurazione e a benedire la facoltà di Medicina e Chirurgia.
«Entrambi – ha continuato Giuliodori – hanno avuto uno sguardo fisso verso la sofferenza e le fatiche dell’umanità e hanno potuto essere testimonianza della Pasqua di Cristo. Giovanni Paolo II in particolare - ha concluso - è stato la dimostrazione del valore salvifico della sofferenza».
«L’Università Cattolica – ha aggiunto don Paolo Morocutti, assistente spirituale della sede di Roma, che ha moderato l’incontro - è la “cattedra” dove Papa Wojtyla ha profuso il senso e il valore della sofferenza».
«Quella sofferenza - ha aggiunto Navarro Valls - che nella croce di Cristo trova l’evidenza della sua esistenza». «Giovanni Paolo II - ha detto Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita - era tra l'altro convinto di offrirla in espiazione del crimine dell'aborto».
«Giovanni Paolo II – ha continuato lo storico direttore della Sala stampa della Santa Sede - era molto lontano dal giudicare il dolore come “buono” ed era immune dall’idolatria della sofferenza, ma capiva semplicemente che per l’uomo è impossibile prima o poi non sperimentarla. Nel dolore e nella malattia c’è il mistero della vita dell’uomo».
E l'insegnamento non è solo per i pazienti, ma anche per i medici. II preside della facoltà di Medicina e chirurgia della Cattolica, Rocco Bellantone, allievo e aiuto del “chirurgo del Papa” Francesco Crucitti, ha voluto ricordare «non il Santo, ma l'uomo che nel dolore riusciva a trovare la forza per dare tanto agli altri».
I docenti della Cattolica Rodolfo Proietti, docente di Anestesiologia e rianimazione, e Carlo Bertolini, docente di Clinica ortopedica, tra ricordi personali e aneddoti curiosi, hanno riassunto la lezione di Wojtyla per chi esercita la professione medica: il rapporto medico-paziente. «II Papa diceva che con i malati non bisogna mai avere fretta - ha detto Proietti -. Ci ha mostrato la strada che un ospedale cattolico come il Gemelli deve seguire. Non basta prendersi cura dei pazienti. Bisogna amarli!». «In tutti i ricoveri – ha raccontato Bertolini - Giovanni Paolo II non ha mai smesso di pregare secondo i suoi ritmi. Aveva la pelle sopra le ginocchia straordinariamente ispessita, segno delle ore che trascorreva ogni giorno in preghiera».
La prima e l’ultima uscita da Papa di Giovanni Paolo II furono per raggiungere quello che sarebbe per lui diventato il “Vaticano III”: la prima per andare a trovare l’amico fraterno monsignor Andrea Deskur, ricoverato al Policlinico Gemelli, l’ultima per il suo decimo ricovero.