Non sono mai passati di moda. E negli ultimi anni è addirittura cresciuta la popolarità degli zombie, soprattutto tra fumetti, film, serie tv e videogiochi. Il caso più celebre è la fortunata serie tv cult The Walking Dead, dove l’universo dei morti viventi è spesso metafora di temi politici e sociali attuali. Un parallelismo che è stato al centro dell’incontro The Walking Dead e altri mostri fra immaginario mediale e allegorie della politica, promosso dalle facoltà di Scienze linguistiche e di Scienze politiche e sociali e dal Certa il 28 aprile in aula Gemelli dell'Università Cattolica.
«Sono sempre più frequenti le storie ambientate in uno scenario post-apocalittico abitato da mostri, dove la società civile viene annullata», ha spiegato Damiano Palano, docente di Filosofia politica alla Cattolica.
Le storie sugli zombie ovviamente hanno una lunga tradizione. Il primo film del genere, White Zombie, risale al 1932, con Bela Lugosi nella parte di Legendre, un mago che guida un gruppo di zombie che lavoravano come schiavi nelle sue piantagioni di zucchero. Da qui seguono altri film fino agli anni Sessanta; ma solo nel decennio successivo inizia a delinearsi la figura dello zombie contemporaneo, spesso metafora di teorie sociali e politiche con radici molto antiche. «Il cannibalismo degli zombie, per esempio, può essere associato agli studi di Rousseau, che pensava alle tribù antropofaghe del Continente Nero per teorizzare lo Stato di natura».
Il vero punto di svolta arriva con il regista statunitense George A. Romero, con La notte dei morti viventi, (1968) e Zombi, uscito dieci anni dopo. In questo film, le orde dei morti viventi che affluiscono con la goffa marcia verso un grande centro commerciale, sono un chiaro riferimento agli “uomini-massa” soggiogati dallo spettacolo ipnotico delle merci. «A un certo punto del film, uno dei protagonisti li descrive così: “Sono alla ricerca di questo posto. Non sanno perché. Ricordano e basta, ricordano che vogliono venire qui”», spiega Palano. «Da quel momento, soprattutto grazie a Romero, il mito dello zombie verrà sempre più utilizzato per riflettere i problemi e i difetti della società del capitalismo e dei consumi».
Questo è evidente soprattutto nella cinema inglese, dove l’horror si mescola con l’ironia per creare storie paradossali che prendono in giro i vizi e i problemi del mondo di oggi. Un esempio molto ben riuscito è Dead Set (2008), una mini-serie di cinque episodi prodotta dalla Bbc. «La storia è ambientata nella casa del Grande Fratello inglese, dove i concorrenti rimangono gli unici sopravvissuti a un’invasione di zombie», spiega Luca Barra, docente di Culture della Comunicazione in Cattolica. «Alla fine le orde di morti viventi riescono ad entrare nella casa, divorando anche loro».
Un altro caso è la recente serie In The Flash (2013), dove gli ex-zombie sono curati e reintrodotti nella società. «Il protagonista, un tredicenne insicuro, deve superare le difficoltà e i problemi tipici dell’adolescenza, oltre al rimorso di aver ucciso e divorato decine di uomini», aggiunge Barra.
Nelle storie più recenti, gli zombie non vivono più in luoghi misteriosi o lontani, ma si insinuano nelle città, nelle case, al centro della vita civile. La paura del contagio da parte dei sopravvissuti e la volontà di conservare la propria umanità diventa sempre più metafora di una ribellione contro l’estraniamento da sé e l’omologazione della società contemporanea. «Quello più che colpisce è la mitologia plasmabile dello zombie», osserva Massimo Scaglioni, docente di Storia dei Media, «la sua rappresentazione, che è cambiata seguendo le ansie e dei problemi economici e sociali della civiltà occidentali».
Nel 2010 ha inizio The Walking Dead, prodotta dalla rete statunitense Amc: basata su un fumetto, è nata come serie tv horror di nicchia, è diventata la serie più seguita negli Stati Uniti (il primo episodio della quarta stagione per esempio ha raggiunto il record di 16,1 milioni di spettatori) e in tutti il mondo.
«In The Walking Dead gli elementi dello zombie di oggi ci sono tutti», spiega Dominic Holdaway, docente all’Università di Bologna, «La serie mostra un universo distopico, dove i pochi uomini rimasti sono costretti a organizzarsi e collaborare insieme per sopravvivere contro gli altri. È presente anche qui, come in altri esempi, la dottrina moralista di una nuova società utopica, dove ogni disuguaglianza è annullata in favore dell'aiuto reciproco».
Secondo Luca Rochira, direttore creativo di Fox Channel Italy, il segreto del successo della serie è che, in realtà, la storia parla di relazioni tra gli uomini, non sugli zombie. «Il protagonista è un uomo che si sveglia dal coma in un modo post-apocalittico; dopo aver trovato la sua famiglia, scopre che la moglie sta con il suo migliore amico. I combattimenti e le lotte, poi, coinvolgono soprattutto gruppi di esseri umani», continua Rochira. «Nella terza stagione, per esempio, muoiono 17 personaggi, ma solo tre persone sono uccise dagli zombie».
Il successo di The Walking Dead ha dato il via a videogiochi, festival e wepisodes sull’universo dei morti viventi, coinvolgendo un pubblico mainstream. La verità è ormai evidente: gli zombie ci stanno contagiando.