di Francesco Bonini *

Coubertin ne era ben consapevole: la scelta della sede dei Giochi ha un indubbio significato politico, allora come oggi. Semplicemente se ne è aggiunto uno economico-globale. Cominciamo dal Comitato olimpico internazionale (Cio), attore politico economico internazionale: chiariscono il senso di questa definizione due momenti, in cui l’aspetto di politique politicienne diventa esplicito.

Il primo episodio si svolge a Oslo nel febbraio 1935: si deve decidere l’assegnazione dei Giochi del 1940. È quasi fatta per l’Italia, quando l’intervento personale di Mussolini, evocato dal componente giapponese del Cio Yotaro Sugimura (peraltro sottosegretario della Società delle Nazioni), è decisivo per assegnare a Tokyo quella edizione, in cambio del benevolo atteggiamento giapponese in occasione dell’aggressione all’Etiopia.

Il primo ministro italiano è il primo (e forse l’unico) leader politico a intervenire direttamente sull’assegnazione olimpica, giusto alla vigilia dell’appuntamento del 1936: i Giochi che si tengono a Berlino sono a loro volta i primi per i quali si era cominciato a parlare di boicottaggio.

Se il passaggio 1935-1940 pone con evidenza il tema dell’uso politico dello sport nelle arènes totalitaires, la politica si riaffaccia direttamente sulla scena sportiva con il boicottaggio di Mosca 1980 da parte degli americani (e di diverse decine di altri Stati) in seguito all’invasione dell’Afghanistan (seguita dal contro-boicottaggio light di Los Angeles da parte di alcuni Paesi del blocco sovietico nel 1984).

In questo caso, come in quello del 1935, i vertici del Cio assistono critici e sospettosi all’intervento diretto della politica, perché a sua volta il Comitato olimpico internazionale ha una politica, la cui data simbolica è il 19 ottobre 2009. L’Onu ha riconosciuto al Cio lo status di Osservatore permanente, una dimensione istituzionale che lo accomuna alla Croce Rossa e al Sovrano Ordine Militare di Malta. Il riconoscimento sancisce non solo il fatto che la creatura di Coubertin ha cercato di giocare fin dalla fondazione il gioco della grande politica internazionale, ma che lo sport – e dunque le sue istituzioni – è attore del sistema delle relazioni
internazionali.

Nella prima fase, tra il 1894 e il 1914, il Cio ricalca il modello delle istituzioni internazionali della prima globalizzazione, dall’Unione interparlamentare al Comitato delle Esposizioni internazionali. Nella seconda fase gioca il gioco prima della neonata Società delle Nazioni, di cui prefigura addirittura la sede, che allo scoppio della prima guerra mondiale Coubertin trasferisce da Parigi a Losanna, e poi delle stesse Nazioni Unite. La scelta della sede dei primi Giochi del primo dopoguerra premia gli alleati vincitori, così come quella della sede dei Giochi del secondo dopoguerra, per includere poi in entrambi i casi gli sconfitti: Berlino nel 1936 e Roma e Tokyo nel 1960 e 1964.

L’indirizzo delle assegnazioni è assai indicativo: fare perno sullo spazio euroatlantico, con le sue vicissitudini e spaccature interne, progressivamente allargato a partire dalla seconda metà del XX secolo, in attuazione di un principio che si può definire dell’inclusione garantita e finalizzata. Le tappe più eclatanti di questo processo sono Messico 1968, Seoul 1988, Pechino 2008 e proprio Rio de Janeiro 2016. Sono fuori dallo spazio euroatlantico in senso stretto Mosca 1980 e Sydney 2000; passaggi come Tokyo 1964 si possono invece leggere come una dilatazione dello spazio originario, piuttosto che un suo sostanziale allargamento.

[…] Se i fattori politici in senso ampio sono importanti, in realtà il sistema della comunicazione e del consumo globalizzato è il propellente strutturale di questa dinamica, che determina evidenti contraccolpi istituzionali all’interno del Cio. Ovvero una serie di scandali, legati proprio alle decisioni di assegnazione, che portano alla riforma costituzionale del Cio sul finire della presidenza Samaranch nel 1999, di fatto poi attuati dal suo successore Rogge.

[…] L’auto-riforma del Cio, pesantemente messo in discussione per corruzione, collegata con l’istituzione sempre nel 1999 di una Authority antidoping e l’abolizione della distinzione fittizia tra dilettanti e professionisti segnano la grande trasformazione “globalizzata” dello sport mondiale. […] Assumendo la caratteristica di vere e proprie holding le istituzioni sportive internazionali da un lato hanno confermato la loro valenza politica, dall’altro hanno dovuto misurarsi con gli standard e i vincoli del mercato globale.

[…] L’irruzione dell’investimento globale sul sistema sportivo a base europea – non assimilabile fino in fondo alla gestione dello sport professionistico statunitense – produce oggi cambiamenti di cui è difficile valutare fino in fondo la portata. In ogni caso l’appeal dell’investimento nel sistema sportivo comporta il mantenimento comunque di alcuni elementi coubertiniani, proprio per non cadere nella sindrome di Borges, ovvero del 24 giugno del ’37. L’idea dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e il carattere dell’agonismo, ovvero del “merito sportivo” che ne rappresentano l’essenza, deve pertanto essere tutelata anche qualora le società sportive siano acquisite da conglomerate, per evitare il rischio di essere risucchiate nella fiction o vittime del malaffare internazionale. Il terremoto ai vertici della Fifa – legato in particolare proprio al giro di denari per l’assegnazione dei campionati del mondo – ma anche le contraddizioni dei grandi appuntamenti sportivi costruiti senza un reale rapporto con la cittadinanza segnalano un problema.

In fin dei conti il caso del Brasile, con la messa in stato d’accusa per corruzione della presidente che avrebbe dovuto pavoneggiarsi dei mondiali Fifa (2014) e dei Giochi olimpici (2016), segnala una questione strutturale che si riflette anche sul necessario, complesso, articolato ma non scindibile rapporto tra sport (economia) e politica, aperto a esiti ed evoluzioni non facilmente prevedibili.


* Rettore della Lumsa