di don Roberto Colombo *
Ricercatori di Edimburgo hanno ottenuto in vitro ovociti umani maturi allo stadio di metafase II (ovvero lo stadio di sviluppo in cui essi si trovano all'ovulazione nella donna) a partire da colture unilaminari di follicoli da biopsie ovariche corticali.
Questa ricerca è in ambito clinico con l’obiettivo di includere una appropriata strategia di "conservazione della fertilità" nel protocollo di trattamento antineoplastico delle adolescenti e delle giovani donne affette da malattia tumorale, affinché possano anch'esse diventare madri.
Le terapie contro i tumori, in particolare la chemioterapia con agenti alchilanti e la radioterapia, possono, infatti, danneggiare la riserva di spermatogoni e ovociti, rendendo così infertile l'uomo per difetto della spermatogenesi e la donna per insufficienza ovarica prematura. Anche malattie non oncologiche, quali quelle autoimmuni o che causano un depletamento dei precursori dei gameti, presentano lo stesso problema.
Le soluzioni attuali e la ricerca di nuove
Per i giovani maschi fertili la procedura elettiva è la raccolta e crioconservazione del seme prima della terapia. Nei ragazzi prepuberi e i giovani con insufficienza spermatica è possibile la biopsia testicolare e la crioconservazione di tessuto germinale immaturo. Il destino riproduttivo degli spermatozoi è la fertilizzazione in vitro per ottenere embrioni da trasferire in utero, mentre per le cellule germinali immature non vi è attualmente un tecnica di routine e clinicamente accettata che consenta di ottenere embrioni capaci di sviluppo al pari di quelli generati da spermatozoi. Sono in sperimentazione, sinora senza i risultati attesi, sia il reinnesto del tessuto germinale dopo la terapia antitumorale, sia la spermatogenesi in vitro.
Nella giovane donna fertile, la raccolta e conservazione degli ovociti maturi è accessibile, ma con due limiti: il modesto numero di follicoli maturi prelevabile in ogni ciclo ovarico (anche iperstimolato) non consente una riserva estesa di gameti femminili e il successo della loro crioconservazione è assai inferiore a quello dei gameti maschili, anche con le più recenti tecniche di "vitrificazione". Il trapianto autologo di tessuto germinale prelevato prima della terapia oncologica è possibile, ma nel caso di un tumore ovarico vi è il grave rischio di reintrodurre anche la causa della malattia curata in precedenza.
Cosa comporta la studio scozzese
Se fosse confermata da studi indipendenti, l’applicazione clinica di questa ricerca potrebbe mettere a disposizione un considerevole numero di ovociti potenzialmente utilizzabili per fecondazioni artificiali omologhe (per le stesse pazienti oncologiche) o eterologhe (per altre coppie che richiedessero la donazione) e per eventuali esperimenti di clonazione umana per trasferimento di nucleo di cellule somatiche (SCNT), i cui tentativi sono stati sinora frenati biotecnologicamente anche dalla scarsa disponibilità di ovociti maturi.
* docente della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica