Il Foglio del 6 giugno ha accolto la lettera/appello del professor Edoardo Barbieri che, pur essendo stato solerte nell’applicarsi nella formazione a distanza, chiede che si possa presto tornare a rendere vitale il cuore dell’università che è la ricerca. Per uno studioso di lettere, afferma, la Biblioteca è tanto importante quanto il laboratorio per un fisico
di Edoardo Barbieri *
Molto si parla in questi giorni dell’insegnamento a distanza nelle scuole. Meno, ma su questo giornale lo si è fatto, di quello in università. Certo, avendo a che fare con studenti tutti maggiorenni e quindi adulti “responsabili” di se stessi, la cosa è stata più facile. Per la mia esperienza di docente in una facoltà di Lettere, tra lezioni registrate, lezione in diretta, seminari, filmati, invio di Pdf di libri interi e articoli (anche le biblioteche erano chiuse…), visite virtuali a biblioteche e musei, io credo che ce la siamo cavata.
Anche gli studenti sono stati complessivamente soddisfatti, specie delle lezioni interattive, dove erano loro stessi chiamati a relazionare “in classe”. Certo, problemi tecnici vari, con studenti con strumenti tecnologici obsoleti, oppure con connessioni scadenti, ci sono e non sono né saranno sempre facilmente risolvibili. Come si vede mi proietto già sul prossimo semestre nel quale speriamo di svolgere almeno parte delle lezioni in presenza (di chi, di quanti e di dove e come è un altro discorso: quanti studenti da località più remote e meno contagiate si avventureranno nei grandi centri urbani del Nord?), ma ne svolgeremo almeno altrettante da remoto. Questo non mi spaventa. Sono disposto a far lezione all’aperto, camminando, in montagna…
A suo tempo ho fatto esami dentro il carcere di Alghero, con una certa fifa lo confesso, ma lo rifarei domattina se servisse. C’è tutta una serie di problematiche tecnologiche e di logistica di cui tener conto, ma, stante i costi gestionali che implicano, sono gli atenei chiamati a farsene carico, speriamo con adeguato sostegno da parte del Miur. Anche gli esami non spaventano. Qualche collega fa lo schizzinoso (e chi controlla che lo studente non copi, legga, abbia un suggeritore? ma chi se ne importa! Siamo nell’emergenza e, dopo tanta enfasi sulla metafora cavalleresca del “non abbassiamo la guardia”, dico, invece, à la guerre comme à la guerre). A me invece spaventa solo la complicazione tecnocratica che le segreterie tendono a scaricare sui docenti anziché gestire loro direttamente. Probabilmente però, dopo le prime prove, dovremmo riuscire a cavarcela.
Il tema a mio parere più grave è invece un altro. La vita universitaria, oltre che di lezioni, seminari, ricevimento studenti (che si riesce a fare anche quello a distanza, sia pur con qualche fatica) è fatta della ricerca accademica: il lavoro in biblioteca, la ricerca in archivi e su materiale antico e raro, il continuo confronto con colleghi e allievi. È questo che ci è stato tolto e che non ci sono seri segnali ci venga restituito… Tutti, sia pur con le precauzioni richieste, si incontrano in uffici, supermercati, ristoranti, ma noi no! Le università sono vuote, gli spazi squallidi ma disinfettati, i libri in quarantena secondo regole sostanzialmente assurde. Certo, poi l’università ci chiede di verificare la nostra produzione scientifica, articoli e libri pubblicati, partecipazione a convegni, progetti di ricerca, ma come credono che avvenga tutto ciò, con atti di magia e sforzi solipsistici?
La produzione accademica è il frutto maturo della ricerca universitaria che non può essere né improvvisata né interrotta: per un professore di Lettere la biblioteca non è meno necessaria del laboratorio per uno studioso di chimica o fisica! Sostanzialmente ci hanno tolto tutto per ignavia, noncuranza, ignoranza, forse paura… ma così non si può andare avanti! Occorre prendere coscienza del problema e imporre una svolta, a costo persino di gesti di disobbedienza a norme che in coscienza ci paressero violare i nostri diritti e doveri di studiosi e insegnanti. Un treno fermo in stazione, certo è più gestibile e meno pericoloso di uno in movimento. Solo che non serve a niente e non lo prende proprio nessuno…
* docente di Storia del libro – facoltà di Lettere e filosofia, Università Cattolica