* di Vittorio Emanuele Parsi

Ci sono motivi di politica interna e motivi di politica internazionale dietro la scelta dei bombardamenti americani in Siria. Rispetto a quelli di politica interna c’era la necessità di ristabilire un feeling con l’opinione pubblica americana, che apprezzava sempre meno l’(in)azione presidenziale. C’era poi l’opportunità di marcare, aumentandola, l’autonomia delle scelte della Casa Bianca in politica estera rispetto al Congresso. C’era infine l’esigenza di allontanare lo spettro del Russiagate, mostrando che l’eventuale contributo di Putin alle sue elezioni potesse in qualche modo rendere la politica di Trump ostaggio delle decisioni di Putin.

Anche dal punto di vista internazionale le motivazioni sono molte e probabilmente hanno prevalso. Da un lato, chiaramente, non si poteva lasciare impunito un crimine come quello dei bombardamenti di martedì 4 aprile in Siria, dopo che nel 2013 la Russia si era fatta garante dello smantellamento dell’arsenale chimico di Assad che non è stato completo. E questo non si poteva tollerare. Era peraltro già evidente che il Consiglio di Sicurezza non avrebbe partorito nessuna decisione sanzionatoria del regime siriano.

Occorreva far capire ai russi che non potevano pensare di fare ciò che volevano in Medio Oriente senza contemplare gli americani e che l'estromissione degli USA dall’equilibrio del Levante, in forza dell’accordo di Astana tra Turchia, Russia e Iran, era inaccettabile. In questo caso, peraltro, si trattava di una “soluzione” instabile fin dall’origine, visti i loro diversi interessi. Nei giorni scorsi la Turchia aveva già protestato duramente con la Russia per l’utilizzo del gas contro i civili da parte del regime. Agire subito consentiva anche di cogliere l’occasione per sfilare Erdogan dall’alleanza di fatto venutasi a creare con la Russia. Si trattava di un interesse vitale per l’Alleanza Atlantica, che non poteva tollerare che un suo membro fosse allineato con Putin.

Da un punto di vista più generale, quanto avvenuto in questa settimana conferma che le coalizioni che si propongono di  lottare contro l’ISIS non sono estendibili ad altri ambiti, neppure nella medesima regione, perché gli interessi degli attori sono divergenti non appena si va oltre gli obiettivi tattici di liberare Mosul o Raqqa. Del resto, più complessivamente, gli interessi strategici americani e quelli russi restano inconciliabili. Con il lancio di missili in Siria si è poi mandato un segnale alla Cina e al Nord Corea, ammonendoli che gli Stati Uniti non hanno paura di assumersi rischi, anche importanti, pur di tutelare la sicurezza nazionale.

Tutto questo ha comportato naturalmente dei costi. C’è il costo della violazione del diritto internazionale insieme a quello della magnificazione dell’impotenza dell’ONU. C’è il rischio che all’errore commesso tre anni fa da Obama di tirarsi indietro dopo aver minacciato tuoni e fulmini, corrisponda oggi un errore speculare opposto di aver scelto una linea di azione troppo “tempestiva”.
Si conferma l’immagine che gli Stati Uniti continuino a pensare che l’uso della forza sia stavolta necessario e che questa amministrazione non si faccia problemi ad impiegarla (del resto perché avrebbe aumentato del 10% il budget della difesa?). Così come esce rafforzata la sensazione che l’amministrazione Trump non nutra nessuna fiducia nel diritto internazionale.

Intanto Trump ha, in fin dei conti, incassato il plauso di tutti i suoi alleati: fino a ieri era un isolato, guardato con sospetto e sufficienza, mentre Putin era osannato come il nuovo leader capace di imporre la pace in Medio Oriente. Oggi gli europei, le monarchie sunnite del mondo e gli israeliani sono tutti con Trump. Contro di lui c’è la Russia, ça va sans dire, c’è l’Iran, ci sono gli Hezbollah: tutti comunque non reclutabili al suo fianco. Vedremo cosa diranno i cinesi e il Vaticano; ma in ogni caso dovranno constatare il fatto compiuto.

Restano sicuramente i dubbi sulla sua competenza e la sua lungimiranza in politica estera: ma in questo momento 'The Donald' si è tolto dall’angolo e ha messo alle corde un Putin decisamente isolato.


* direttore Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI)