Sono poco meno di 400 tra le sedi di Milano, Brescia e Piacenza-Cremona gli studenti disabili che studiano in Cattolica. In dieci anni sono aumentati del 200%, a partire dalla legge 17 del 1999 che ha favorito, con l’esonero parziale o totale della tasse universitarie, la loro accoglienza negli atenei italiani. Da allora l’Università Cattolica si è dotata di uno specifico servizio (che da qualche tempo si occupa anche dei dislessici) per integrare gli studenti con disabilità: motoria - sono la maggior parte -, visiva, uditiva o con altre forme. Coordinato dal pedagogista Luigi D’Alonzo, il servizio può contare, insieme al personale amministrativo, su quattro consulenti pedagogici e una decina di ragazzi del Servizio civile nazionale. Basta girare i chiostri di largo Gemelli per capire come l’integrazione di questi studenti sia una realtà.
Un risultato che è anche il frutto di un lungo lavoro di sensibilizzazione e anche di battaglie civili condotte, soprattutto nella scuola, dalla pedagogia speciale che, proprio in Cattolica, il 25 e 26 febbraio scorsi, ha raccolto i soci della Società nazionale (Sipes) nell’aula magna milanese sotto la guida del presidente D’Alonzo. Un evento che ha ribadito con orgoglio i risultati ottenuti finora: «Le conquiste effettuate in questi anni – ha detto il pedagogista nella sua introduzione -, la presenza di soggetti con deficit a scuola, il diritto all'integrazione come valore oramai condiviso, i servizi esistenti sul territorio, l'apertura del mondo del lavoro ai disabili, devono rappresentare una base fondamentale per ulteriori conquiste civili e sociali». Certo, le preoccupazioni non mancano, soprattutto in una stagione di ristrettezze economiche e di tagli nelle istituzioni scolastiche. «Il problema maggiore – spiega D’Alonzo – potrebbe esserci nella scuola superiore, dove con l’accorpamento delle classi potrebbe concentrare 5-6 disabili, vanificando così ogni possibilità di integrazione». Ma secondo il professore della Cattolica non dovrebbero esserci conseguenze per quanto riguarda il sostegno a questi studenti, anche se alcuni fatti di cronaca potrebbero suscitare apprensione. Per ora il numero delle ore di sostegno non è sceso sotto il rapporto del 2%, come dicono le ultime normative. «Il rischio, semmai, è lo squilibrio: quella è la media, ma potrebbe essere che alcune scuole abbiano un rapporto più alto e altre più basso». Bisogna ricordare tuttavia, sottolinea D’Alonzo, che l’insegnante di sostegno non è relativo all’allievo disabile, ma all’intera classe: «Come dice la legge è “contitolare” dell’insegnamento e la sua presenza permette di integrare meglio anche gli studenti non disabili. Il sostegno funziona se c’è una progettazione a tavolino insieme agli altri insegnanti e a tutta la comunità educante, dirigente e bidelli compresi». Per questo, tra i risultati della due giorni milanese della Sipes c’è la proposta di inserire nella formazione di base degli insegnanti elementi di pedagogia speciale per 60 crediti complessivi, in modo che tutti siano preparati ad accogliere gli studenti con disabilità. Non resta che aspettare che il ministro Gelmini, dopo aver chiuso l’esperienza delle Scuole di specializzazioni per l’insegnamento secondario, dia indicazioni sul nuovo sistema di reclutamento dei docenti della scuola che per ora è solo sulla carta.
Convegno Sipes_introduzione del presidente Luigi D'Alonzo ( KB)