Il prossimo 22 giugno si celebra in Università Cattolica la giornata di conferimento del titolo di dottorato a 187 giovani promesse della ricerca: neo dottoresse e neo dottori provenienti da 11 ambiti disciplinari differenti. Ospite d’onore: Xavier Prats Monné (nella foto), direttore della DG Education and Culture della Commissione Europea.
L’occasione della cerimonia offre – nel suo annuale ricorrere – interessanti spunti di riflessione sul futuro della nostra educazione dottorale, il cui perimetro risulta essere sempre meno circoscritto all’interno dei confini del nostro Paese e sempre più proteso ad aprirsi all’Europa se non, addirittura, alle migliori esperienze in campo mondiale. “Europe and its Universities in a global world” è il tema che Prats Monné affronterà nella sua Lectio magistralis ai proclamandi dottori e ai loro supervisor.
L’invito in Cattolica è stato anche l’occasione di un breve dialogo con lui, nel quale sono emerse alcune preoccupazioni sul futuro del dottorato di ricerca in Italia. Il tema non è evidentemente riducibile a una mera questione di risorse (che pur mancano). Il fatto è che il destino del dottorato – e dei dottori di ricerca - non può prescindere da quello dei sistemi universitari e della ricerca unitariamente intesi. L’uno si trova a essere inscindibilmente legato agli altri e non potrà affermarsi senza un loro sostanziale sviluppo. Non è un caso che i temi legati alla Doctoral Education abbiano acquistato sempre più rilevanza in Europa a partire dal cosiddetto Processo di Bologna, volto a costruire l’area europea dell’istruzione superiore. Come potrebbe l’Europa centrare l’ambizioso obiettivo di diventare la più competitiva economia basata sulla conoscenza, se alla fine mancasse un adeguato e preparato livello di capitale umano, che sappia tenere il passo alle altre economie mondiali?
All’interno di questo scenario, il cambiamento sembra essere il vero denominatore comune nella vita degli atenei nell’ultimo decennio. La crisi economica ha però mostrato che non sempre le società cambiano in meglio. Su questo punto Prats Monné appare invece ottimista. «L’Alta formazione nel contesto europeo sembra avere una prospettiva di crescita, anche se non sarà la formazione come comunemente la conosciamo. La globalizzazione e le trasformazioni demografiche stanno cambiando la distribuzione mondiale dei talenti, e lo sviluppo della tecnologia sta de-strutturando funzioni, tempi e contenuti dell’azione formativa tradizionalmente intesa».
In questo contesto di frammentazione, come si collocano i dottorati di ricerca? Possono rappresentare – come annunciato dalla stessa Ue nei Principi di Salisburgo – un importante fattore di sviluppo? Prats Monné non sembra avere dubbi. «Il bisogno di nuovi saperi e di figure ad alto potenziale per l’economia della conoscenza non faranno che aumentare la domanda globale di formazione e ricerca in Europa e le Università avranno ancora molto da dire attraverso il loro compito di creazione di valore sociale e di beni di utilità pubblica».
La vera sfida appare però a un livello ancora più profondo. «È la natura stessa della conoscenza che oggi sta mutando – continua Prats Monné -. Essa emerge sempre più come risultato di una collaborazione all’interno di reti complesse di istituzioni, discipline e persone, che lavorano in condizioni di incertezza. In questo modo la sfida che ci troviamo ad affrontare non è solamente il miglioramento dei sistemi di istruzione superiore, ma il cambiamento del modo in cui noi stessi educhiamo i talenti del XXI secolo».
Qual è allora il contributo dell’Unione Europea in questa sfida? Prats Monné è chiaro quando avverte che «l’Ue non emana direttive nell’area dell’educazione superiore. Tutta la responsabilità nella gestione e nello sviluppo dei sistemi universitari in Europa è lasciata ai governi e realizzata a livello nazionale, se non – in taluni casi – anche a livello regionale. Inoltre, l’elevato grado di autonomia recentemente raggiunto dagli atenei in alcuni Paesi lascia loro ampi margini di responsabilità nell’implementazione della didattica e della ricerca. Il ruolo dell’Ue è diverso. Da un lato si gioca nel tentativo di diffondere e incrementare la consapevolezza di questi problemi nella società civile. Dall’altro nello sforzo di affiancare le istituzioni dei diversi Stati membri nel difficile compito di trovare soluzioni ai problemi e alle spinte di cambiamento in atto. Evidentemente, gli aiuti finanziari alla mobilità di studenti e ricercatori, nonché alla cooperazione fra atenei (e su questi capitoli di spesa ci sono davvero molti soldi…) sono tutti esempi concreti di questa co-responsabilità».
Appuntamento in Cattolica il 22 giugno.