La salute degli italiani, per quanto ancora discreta, si va sgretolando a colpi di cattivi comportamenti, in fatto di alimentazione, sedentarietà e consumo di alcol in eccesso soprattutto tra i giovani. Queste abitudini sbagliate, oltretutto, sembrano divenute “normali” agli occhi dei cittadini del Bel Paese che, quindi, non si applicano per cambiarle. Anche la salute delle donne perde terreno: ha smesso di crescere la loro aspettativa di vita, basti pensare che, negli ultimi 5 anni, è aumentata di appena tre mesi (da 84 anni nel 2006 a 84,1 anni nel 2009, 84,3 nel 2010), mentre per gli uomini è aumentata di sette mesi nello stesso arco di tempo (da 78,4 anni nel 2006 a 78,9 anni nel 2009, 79,1 nel 2010). E l’universo femminile, incurante della propria salute, sta sempre più assumendo stili di vita che ricalcano quelli maschili: sono aumentate le donne adulte (19-64 anni) con consumi di alcol a rischio, cioè quelle eccedono il consumo di 20 grammi di alcol al giorno, 1-2 unità alcoliche: la prevalenza è passata dall’1,6% nel 2006 al 4,9% nel 2008.
«Ma i problemi di salute degli italiani non dipendono solo dalla loro cattiva volontà che li porta a essere sedentari e poco inclini a corretti stili di vita – ha dichiarato Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto di Igiene della facoltà di Medicina e Chirurgia della sede di Roma dell’Università Cattolica nel presentare l’ottava edizione del Rapporto Osservasalute – bensì anche dal deteriorarsi, soprattutto nelle regioni in difficoltà sul piano economico (soprattutto al Sud), di interventi adeguati per mancanza di investimenti nella prevenzione. A ciò si aggiunge il problema della chiusura degli ospedali che, sebbene concepita per razionalizzare il sistema, determina però poi la riduzione dei posti letto e della ricettività per le emergenze».
«In dieci anni di federalismo sanitario, con la sanità ormai trasferita interamente alle regioni, il problema è che quelle deboli corrono il rischio di essere travolte, la sanità rischia cioè di essere l'elemento dirompente della Regione in toto - ha affermato il professor Ricciardi. L'egemonia che hanno avuto i piani di rientro sul governo dei conti approfondisce il baratro dei servizi e della sostenibilità delle regioni, erodendo i servizi sociali e sanitari». Alla necessaria azione di risanamento dei conti deve essere infatti affiancata, una coerente strategia di programmazione e controllo dei servizi sanitari, basata su evidenze epidemiologiche e scientifiche “forti”, senza le quali i problemi delle regioni in difficoltà sono destinati ad aggravarsi in modo progressivo.
Tre regioni da sole (Lazio, Campania e Sicilia) hanno generato il 69% dei disavanzi accumulati dal Ssn nel periodo 2001-2009. In termini pro capite, disavanzi molto significativi si sono generati anche in Molise, Valle d’Aosta, Abruzzo e Sardegna. Solo nel Centro-Nord le regioni (tranne appunto Valle d’Aosta, nonché Piemonte, PA di Trento, Liguria e, nel 2009, Veneto) da alcuni anni chiudono i conti in sostanziale equilibrio, talvolta peraltro solo grazie all’integrazione rappresentata dalle risorse regionali “extra-fondo”. Di qui il carattere de facto “asimmetrico” del federalismo sanitario italiano. In linea di principio, tutte le regioni godono di un’ampia autonomia; nei fatti, moltissime regioni (quasi tutte del Centro-Sud) sono state private, almeno temporaneamente, di tale autonomia tramite l’assoggettamento ai Piani di rientro e, in alcuni casi, il commissariamento. Negli ultimi anni, peraltro, forse proprio per effetto dei Piani di rientro e, più in generale, della maggiore attenzione agli equilibri economico-finanziari nei rapporti tra Stato e Regioni, i differenziali tra regioni pare abbiano cominciato a restringersi.
L’analisi della situazione economico-finanziaria del Ssn evidenzia alcune criticità piuttosto significative: in primis, anche per effetto della crisi economica, la sanità italiana ha quasi completamente eroso quel “vantaggio di costo” che l’ha tradizionalmente caratterizzata e che aveva significativamente contribuito, nel 2000, al suo posizionamento quale secondo miglior sistema sanitario al mondo nel ranking dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Se si considera, per esempio, l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil, il dato italiano è stato tradizionalmente inferiore alla media UE-15 – ha affermato Eugenio Anessi Pessina, docente di Economia aziendale alla facoltà di Economia dell’Università Cattolica -. Il divario tra Italia e media UE-15, che nel 1995 era pari a 1.6 punti percentuali, si è però ridotto a 0.6 punti nel 2000 e 0.2 nel 2005; infine, nel 2008, per la prima volta nell’ultimo ventennio, il dato italiano è stato superiore a quello UE-15».
Si conferma inoltre l’incapacità del Ssn di rispettare i tetti di spesa. Per le singole aziende, il disavanzo è la normalità anziché l’eccezione. Certo, la spesa sanitaria in Italia continua a essere allineata a quella europea e sarebbe, quindi, improprio affermare che la prassi dei soft budget constraint (ipotesi di forte contenimento ex ante, aspettative di ripiano in itinere, effettivi ripiani ex post) abbia causato l’«esplosione» della spesa stessa. Indubbiamente, però, ne risente la programmazione e, quindi, in molti casi, l’efficacia e l’efficienza della gestione. «Le aziende non hanno certezza sulle risorse effettivamente disponibili – ha spiegato Pessina -: da un lato, c’è l’aspettativa che nel corso dell’esercizio potrebbero venire stanziate risorse aggiuntive e che potrà esserci qualche forma di copertura dei disavanzi; d’altra parte, non c’è però certezza né sull’entità, nelle sulle tempistiche di queste coperture».
C’è una frattura molto forte tra le regioni del Centro-Nord, molte delle quali hanno raggiunto condizioni di sostanziale equilibrio, e le regioni del Centro-Sud, molte delle quali sono state sottoposte a Piano di rientro e, in alcuni casi, a commissariamento. L’attuazione del federalismo comporterà, dunque, forti tensioni: alle regioni del Centro-Sud si chiederanno ulteriori sacrifici per proseguire nel percorso di rientro dai disavanzi; le regioni del Centro-Nord continueranno a poter destinare al proprio Servizio sanitario regionale una quota di risorse (misurata, per esempio, dal rapporto tra spesa e Pil regionale) inferiore a quella di aree europee analoghe per ricchezza e sviluppo economico.
Complessivamente, per continuare a beneficiare di una sanità universalistica e di qualità sarà, quindi, necessario da un lato recuperare efficienza, sfruttando tutti i margini che proprio l’eterogeneità interregionale evidenzia; dall’altro governare, in chiave prospettica, l’evoluzione tecnologica e la long-term care, da cui primariamente dipende l’evoluzione della spesa nel medio-lungo periodo. Per fare tutto ciò paiono essenziali almeno tre condizioni: 1) regole di finanziamento stabili, eque e trasparenti; 2) volontà politica, da incentivare tramite opportuni meccanismi di premi e sanzioni sia per le collettività amministrate, sia più direttamente per gli amministratori; 3) capacità tecniche, da sviluppare tramite meccanismi di knowledge transfer tra le regioni, uno spostamento di attenzione dalle fasi di programmazione del “rientro” a quelle di effettiva implementazione e, più in generale, una nuova fase di sviluppo del management sanitario, di selezione e crescita di una classe dirigente competente e preparata rispetto ai problemi emergenti. Non sono queste condizioni impossibili da realizzarsi, ma necessitano di uno sforzo congiunto di Stato e Regioni che ponga effettivamente al centro dell’attenzione il cittadino e le sue esigenze di salute.
«In sintesi, il quadro che appare dal Rapporto di quest’anno mostra vari segnali di miglioramento sul versante di alcuni fattori di rischio” - conclude il direttore di Osservasalute Walter Ricciardi - ma non tali da invertire il trend generale di un Paese decisamente avviato verso un futuro difficile, soprattutto in alcune regioni, per la combinazione dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento dei fattori di rischio, soprattutto comportamentali nei giovani, e di strutture amministrative regionali in affanno nel garantire servizi, soprattutto preventivi e di diagnostica precoce in grado di ridurre il carico di malattia. Particolare preoccupazione destano alcune regioni ancora prive di organi, strutture e attività di programmazione che, da un lato consentano di analizzare correttamente i bisogni e la domanda di servizi da parte della popolazione di riferimento e, dall’altra, predispongano le risorse umane, finanziarie, logistiche e tecnologiche per far fronte a queste esigenze».