Quello tra Prodi e Berlusconi è l’ultimo faccia a faccia televisivo che ha preceduto le elezioni del 2006 in Italia. Nell’ultima tornata elettorale invece, gli italiani non hanno potuto assistere a nessun dibattito in televisione tra i due candidati premier. In America è una prassi consolidata, in Spagna non si faceva da 15 anni, in Gran Bretagna non si è mai fatto: il faccia a faccia è sintomatico della democrazia di un Paese?
Ne hanno discusso docenti universitari accanto a giornalisti e politici durante un convegno internazionale organizzato da Almed, Alta scuola in media, comunicazione e spettacolo, e Sky tg 24. Da qualche tempo il telegiornale di Murdoch si è candidato infatti come organizzatore di un faccia a faccia televisivo alle prossime elezioni: «Siamo un tg staccato dai partiti e pur facendo informazione politica – ha detto il direttore Emilio Carelli – garantiamo obiettività e qualità». Sarebbe l’83% degli italiani a richiedere che il faccia a faccia venga riproposto, mentre, tra questi, il 19% lo considererebbe un diritto. È il risultato di un sondaggio realizzato dall’Osservatorio Digis su un campione di mille soggetti rappresentativi della popolazione italiana.
Ma è sulle norme che imbrigliano il format, derivanti soprattutto dalla par condicio, che si è sviluppato gran parte del convegno. «Con tutti i limiti e i vincoli esistenti, il faccia a faccia non è più un genere giornalistico», ha affermato Enrico Mentana secondo cui, in un contesto come quello attuale, i giornalisti non sarebbero liberi di fare le domande che vorrebbero porre e sono ben lontani da quel biennio ’92-’94, il periodo più libero della tv dal punto di vista dell’informazione.
Con il giornalismo soggetto al potere della politica e regole che imbrigliano l’informazione giornalistica, cosa fare del faccia a faccia? È giusto riproporlo, imporlo, cambiarne la dinamica?
«Sarebbe giusto costringere i politici a partecipare rendendo il rifiuto all’invito più costoso rispetto al fatto di accettarlo», ha affermato Gianni Riotta, direttore de Il Sole 24 ore, che si è espresso anche sulla par condicio: «È un male necessario imposto dal conflitto di interesse di Berlusconi, ma è un problema di tutta la società civile quello di non farsi sopraffare dalla politica. Non tocca al giornalista dire alla gente cosa pensare, ma fornire ai cittadini informazioni e dati. Ci deve essere un dialogo coi politici che metta a nudo le loro ipocrisie, le loro falsità, ma lo stesso vale di fronte all’opinione pubblica».
Oltre a essere un oggetto di informazione politica, il faccia a faccia è anche un grande spettacolo televisivo. Qui il commento del docente e critico Aldo Grasso: «Il faccia a faccia è un format che ha fatto il suo tempo. In Italia potrebbe continuare a reggere solo se si infrangessero alcune regole». «Il peso di un faccia a faccia dipende da come il contesto lo valorizza e lo rilancia – ha spiegato Francesco Casetti, professore di Filmologia –. È un momento di confronto in cui l’adesione al personaggio dipende dalla sua capacità di superare la prova televisiva».
Tornando invece alla questione delle regole, per chi non ha mai visto un faccia a faccia televisivo nel suo Paese, che un regolamento ci sia o no è invece una questione in secondo piano: l’importante è soprattutto che avvenga il dibattito. Così si è espresso Simon Bucks, di Sky News, emittente che in Gran Bretagna si sta impegnando nell’organizzare un dibattito tra candidati che esca dal contesto chiuso del Parlamento. Nell’impresa ci è già riuscito in Spagna il presentatore Manuel Campo Vidal, che nel 2008, dopo 15 anni, ha riportato sul grande schermo i due candidati Zapatero e Rajoy. Complicatissimo e studiatissimo il sistema di telecamere e inquadrature, segno che le problematiche non sono solo italiane. Forse sarebbe tutto più semplice se le fantomatiche e rigide regole venissero applicate solo alla comunicazione politica e non all’informazione, come ha sottolineato Antonio Di Bella, direttore di Rai3, richiamando ancora una volta la par condicio.
L’ultimo intervento della mattinata è stato riservato a Paolo Romani, viceministro alle Comunicazioni, che ha anticipato l’intenzione del Governo di rendere proporzionali ai voti gli spazi di informazione dei partiti, lasciando alle realtà minori una sorta di diritto di tribuna. «Il giornalismo è il grande assente dei faccia a faccia – ha concluso infine Mentana rispondendo a una domanda del pubblico –. Alle persone non interessa l’equidistanza dei giornalisti, ma la loro indipendenza o la loro “equi-impertinenza”». Cioè la possibilità di fare a tutti domande scomode. Ma questo basterebbe a garantire anche una equi-democrazia?