Nella vita è specializzanda al terzo anno in Otorinolaringoiatria al Policlinico Gemelli. Ma quando, l’anno scorso, ha scelto di partire con un progetto del Centro di Ateneo per la solidarietà internazionale dell’Università Cattolica (Cesi) legato al Cinque per mille per uno sperduto villaggio di pescatori del Ghana, ha dovuto mettere in campo tutte le nozioni imparate alla facoltà di Medicina dell’Università Cattolica. L’Africa è anche questo. Lucrezia Vargiu, ventinovenne romana è partita volontaria per donare un mese della sua vita alla medicina di comunità nel distretto di Biriwa, un angolo remoto del Paese, in cui mancano le cure di base. Un medico “obruni”, come chiamano lì l’uomo bianco, pronto a prestare le cure più disparate, perché nella zona gli unici addetti alla sanità sono, se va bene, volenterosi infermieri.
Come quella volta in cui un ragazzo si è quasi mozzato un braccio con un’accetta e ha preferito essere ricucito dalla specializzanda del Gemelli piuttosto che farsi curare nelle strutture ospedaliere più vicine: «Il tendine era tranciato e non si poteva sistemare in quelle condizioni - racconta Lucrezia - . Ma, facendo ricorso ai miei studi in chirurgia, ho richiuso la ferita. Ha recuperato l’uso del pollice. Una volta tornata, siamo rimasti in contatto con un monitoraggio a distanza, grazie alle foto che mi ha mandato. Ho potuto accertare che l’intervento, nei limiti del possibile, era riuscito».
In un mese di volontariato Lucrezia e il suo collega specializzando hanno fatto nascere anche due bambini, hanno fatto attività ambulatoriale e operato moltissime visite nelle scuole e nelle case. «Da un punto di vista medico è stato un periodo molto utile: abbiamo fatto i conti con diverse malattie, soprattutto infettive, come la malaria. Ma è stato molto importante soprattutto dal punto di vista umano: la gente conta su di te e ti senti molto utile. Mi piacerebbe fare un’esperienza simile una volta all'anno, compatibilmente con il lavoro».
La storia di Lucrezia è simile a quella di altri medici specializzandi, quattro nel 2013, che vengono inviati, insieme ad alcuni professori del Policlinico Gemelli di Roma nelle strutture selezionate dal Cesi. In stretto contatto con i missionari e con le altre realtà di volontariato, l’attività degli operatori della Cattolica si concentra su due diversi fronti. Da una parte l’intervento sanitario diretto per la popolazione, dall'altro la formazione del personale sanitario locale. «Ciò che manca realmente all'Africa non sono i macchinari o le strutture adeguate, quanto il know how su come utilizzarle una volta partiti i cooperanti internazionali - spiega il direttore del Cesi, l’infettivologo del Gemelli, Roberto Cauda -. Cerchiamo di avviare un circolo virtuoso di crescita della realtà locale, collaborando quotidianamente e vivendo a stretto contatto con loro».
La prossima frontiera, grazie al Cinque per mille, in questo 2014, è quella della Tanzania, per portare il sostegno medico a una struttura ospedaliera che ha lanciato il suo Sos per ricevere personale qualificato. «Noi non possiamo fare un “progetto Paese” come Cesi, ma possiamo portare il sapere medico della nostra università a dare un piccolo, grande contributo alla sofferenza di una fetta di popolazione della Tanzania», afferma il professor Cauda.
L’esperienza in Tanzania sarà diversa dalle precedenti. «Prima ci siamo occupato soprattutto di medicina di comunità. Adesso offriremo supporto assistenziale a uno dei più grandi e qualificati ospedali del Paese africano, l’Ikonda Hospital, un centro ospedaliero da 320 posti letto a 800 km dalla capitale Dar Es Salaam. Il centro è amministrato dai missionari della Consolata, è gestito da personale locale ed europeo ed è riconosciuto come una delle strutture sanitarie migliori della Tanzania: attira pazienti da centinaia di chilometri di distanza. Le condizioni ottimali per migliorarlo ulteriormente con l’invio di infettivologi, tropicalisti, cardiologi, pediatri e otorini, ci sono. È un progetto ben avviato e su cui molti investono la loro fiducia nella speranza di un intervento pluriennale. Resta ancora da portare a termine qualche pratica burocratica, ma - conclude il direttore del Cesi - vogliamo andare forte e impegnarci tutti insieme per chi ne ha davvero bisogno».
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