I ragazzi adottati che riescono a valorizzare la loro appartenenza etnica risultano essere più soddisfatti della loro vita in generale e manifestano più progettualità per il futuro. Nella costruzione dell’identità e nell’acquisizione del benessere di questi figli hanno un compito fondamentale i genitori che non solo hanno trasmesso loro la storia ma hanno anche saputo avvicinarli alle loro origini.
È quanto emerge dall’ultima ricerca del Centro di Ateneo “Studi e ricerche sulla famiglia” dell’Università Cattolica, pubblicata nel volume “Allargare lo spazio familiare: adozione e affido” (a cura di Eugenia Scabini e Giovanna Rossi, edito da Vita e Pensiero) che sarà presentato venerdì 24 ottobre alle ore 17 in aula Maria Immacolata di Largo Gemelli 1 a Milano.
Allo studio hanno partecipato 172 famiglie adottive e per ciascuna sono stati raccolti i dati da parte del padre, della madre e del figlio, adolescente e giovane-adulto di età compresa tra i 15 e 24 anni (media 19.2). Il 72,7% dei ragazzi proviene dall’America Latina, l’11,6% dall’Est Europa, il 4,6% dai Paesi orientali e dall’India, il 7,6% dall’Africa e il 3,5% dall’America Centrale. L’età all’adozione è in media di 4,8 anni. Il 49.1% maschi e il 50.9% femmine.
Il primo dato che si evince dalla ricerca è che se l’adolescenza rappresenta una fase critica per tutti, adottati e non, nel 74% dei casi i ragazzi adottati mostrano complessivamente adeguati livelli di benessere. Dalla ricerca emerge inoltre che i giovani adulti (20-25 anni), manifestano livelli superiori di benessere e di adattamento psicosociale rispetto agli adolescenti (15-19 anni): i primi mostrano meno problemi emotivo-comportamentali e livelli superiori di capacità progettuale rispetto ai secondi. I ricercatori avanzano l’ipotesi di una sorta di “bonifica” del contesto relazionale e di una buona capacità di far fronte alla transizione.
L’indagine mette a fuoco in particolare i percorsi di costruzione dell’identità dell’adolescente, in particolare della dimensione etnica. Si tratta di un aspetto assai rilevante, non sufficientemente indagato, soprattutto in Italia. Come vivono i ragazzi questa appartenenza etnica, generalmente visibile nei tratti somatici differenti? Rimane solo un “involucro” vuoto di significato? Qualcosa da mettere tra parentesi nel tentativo di “mimetizzarsi” il più possibile? o può assumere valore?
Quello che rivela l’indagine è che la capacità degli adottati di integrare nella propria identità sia l’appartenenza al gruppo etnico di origine sia il radicamento nel contesto sociale in cui sono inseriti è connessa all’autostima e al benessere psicologico, consentendo di guardare con maggiore fiducia al proprio futuro. In questo processo i genitori svolgono un ruolo assai rilevante non solo o non tanto nel trasmettere informazioni e conoscenze, ma soprattutto nel valorizzare il background etnico e culturale.
In particolare si evidenzia che sono soprattutto le madri ad assumere su di sé il compito di avvicinare il figlio al contesto culturale di origine e di favorirne il contatto in modo che i figli adottivi si sentano legittimati a intraprendere a propria volta un percorso personale di conoscenza e di riappropriazione del patrimonio etnico e culturale del Paese in cui sono nati.
Durante l’incontro, introdotto da Eugenia Scabini, presidente del Comitato scientifico del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia, interverranno sulle tematiche relative all’adozione e all’affido Luca Villa, giudice del Tribunale per i minorenni di Milano, Giusi Bruno, psicoterapeuta e giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Catania, Alda Vanoni, socio fondatore di “Famiglie per l’accoglienza” e già magistrato minorile, Rosa Rosnati, docente di Psicologia dell’adozione, dell’affido e dell’enrichment familiare in Università Cattolica.
Obiettivo dell’incontro è rimarcare le potenzialità contenute nei due istituti giuridici dell’adozione e dell’affido, che sono stati nei secoli una risposta al bisogno di “cura” delle nuove generazioni e al tempo stesso al desiderio “generativo” e prosociale delle famiglie. Si tratta infatti di due forme di generatività nelle quali si rende evidente la componente sociale, in quanto impegno “familiare” che travalica i confini della propria famiglia.