Era il 1º dicembre 1981 quando venne diagnostico il primo caso di Aids al mondo, la sindrome da immunodeficienza acquisita. Da allora l'Aids ha ucciso oltre 25 milioni di persone, diventando una delle epidemie più distruttive che la storia ricordi. Ogni anno, il 1° dicembre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale contro l’Aids, occasione per fare il punto sull’epidemia causata dal virus dell’Hiv. L'idea della Giornata mondiale ha avuto origine al Summit mondiale dei ministri della sanità sui programmi per la prevenzione dell'Aids del 1988 ed è stata in seguito adottata da governi, organizzazioni internazionali e associazioni di tutto il mondo. Su questa malattia abbiamo fatto il punto della situazione con Roberto Cauda, direttore della Clinica delle Malattie infettive dell’Università Cattolica di Roma e la ricercatrice Simona di Giambenedetto. Presso l’ambulatorio del Policlinico Gemelli vengono seguiti circa 1800 pazienti Hiv positivi di cui circa 1500 sono in trattamento con terapia antiretrovirale. Sono inoltre seguiti in assistenza domiciliare circa 20- 25 pazienti, il cui numero può variare in quanto questi pazienti per la loro tipologia possono occasionalmente richiedere il ricovero in regime di degenza fissa per il quale sono disponibili 40 posti letto oltre che un Day Hospital.
Quante sono le vittime dell’Aids nel mondo fino a oggi?
In oltre trenta anni di storia, il virus dell'Immunodeficienza acquisita si è diffuso determinando una epidemia a livello globale che conta, secondo le stime degli organismi internazionali, oltre 40 milioni di infetti nel mondo e ha già causato 25 milioni di morti.
E in Europa? Quali sono le zone più colpite? In Europa, l'incidenza della malattia conclamata (denominata Aids) ha raggiunto il suo picco nel 1994, per poi diminuire drasticamente negli anni, successivamente all'introduzione della terapia antiretrovirale, attestandosi sugli attuali 20-30 casi per milione di abitanti per anno a seconda delle regioni. Le popolazioni più colpite all'inizio dell'epidemia erano in Europa occidentale particolarmente tossicodipendenti e omosessuali; attualmente invece sono i Paesi dell'Est a registrare il maggior numero di casi, e i rapporti eterosessuali a rischio sono diventati la via di trasmissione più comune per il virus. L’introduzione della terapia antiretrovirale, avvenuta alla fine degli anni 90, ha drasticamente ridotto il numero dei decessi, abbassando il tasso di mortalità da 10x100.000 abitanti del 1994 a 3x 100.000 del 2006.
Qual è la situazione in Italia? In Italia le diagnosi di Aids sono state 60.500 dall'inizio dell'epidemia, i morti 39.000 e, come descritto nel resto del mondo, il numero di nuovi casi Aids è drasticamente sceso dal 1997 a oggi passando dalle 5653 diagnosi del 1996 alle 1400 del 2008. Contensualmente a ciò dal 1994 si è osservato un incremento dell'età media della diagnosi di Aids: 25-30 anni nel primo decennio, 40-45 in tempi recenti. Questo è una prima dimostrazioone di come la terapia antiretrovirale abbia la capacità di rallentare sensibilmente la progressione della malattia. Sebbene le diagnosi di Aids continuino a decrescere negli anni, a dimostrazione di una reale e duratura efficacia della terapia, l'infezione si va diffondendo in maniera costante nel tempo. Le nuove diagnosi di sieropositività, infatti, mostrano un trend di aumento costante negli ultimi anni, e le regioni dell'Est risultano ancora una volta le più colpite con un'incidenza di circa 250 casi per milione nel 2006.
Quali sono le forme principali di trasmissione? In Italia i soggetti sieropositivi sono stimati essere 140.000/170.000 e ogni anno si verificano 3.500-4.000 nuovi casi. Questi numeri però potrebbero essere sottostimati in quanto si pensa che un quanrto dei soggetti sieropositivi non sia a conoscenza dello stato d'infezione. Anche in Italia, in analogia con il resto d'Europa, l'infezione si trasmette maggiormente per via eterosessuale, anche se negli ultimi anni si registra un nuovo incremento degli omosessuali tra le nuove diagnosi, mentre è in costante declino la trasmissione legata all'uso di droghe per via iniettiva.
Un fenomeno in crescita sono i casi definiti “Very Late Presenter”. Di cosa si tratta? Sono quei soggetti che scoprono la loro sieropositività al momento della diagnosi di Aids, quindi a uno stadio ben avanzato di malattia. In Italia nel 2008 essi rappresentavano quasi il 60% delle nuove infezioni totali. Questo dato è probabilmente spiegabile con una non adeguata informazione sull'argomento e con la conseguente scarsa propensione a effettuare un test Hiv precoce. Infatti, vi è l'erronea convinzione che l’infezione da Hiv sia associata solo a comportamenti a rischio specifici (come tossicodipendenza e omosessualità) a cui si aggiunge la non conoscenza della malattia che viene ancora percepita come malattia incurabile a prognosi infausta, il che genera un effetto di rimozione collettiva che non favorisce l'esecuzione del test anti Hiv.
A che punto sono le terapie farmacologiche? In campo terapeutico la ricerca medica dell'infezione da Hiv negli ultimi anni ha fatto numerosi progressi, introducendo farmaci sempre più efficaci e sempre meglio tollerati. Attualmente il fenomeno delle resistenze antiretrovirali, proprio grazie a questi nuovi farmaci, ha perso molto dell’importanza che rivestiva fino a pochi anni orsono fino ai primi anni 2000. Oggi sono gli effetti collaterali della terapia a lungo termine, quelli che impensieriscono sia i pazienti che i medici. Per questo motivo lo scopo della ricerca farmacologica è quello di fornire molecole oltre che efficaci nell'inibizione della replicazione virale, anche dotate di una minore tossicità. Oggi sono approvati per il trattamento dell'infezione da Hiv 25 farmaci suddivisi in 6 classi principali: le ultime due sono state introdotte nel 2007 e sono gli inibitori delle integrasi e gli inibitori dell'entrata del virus nelle cellule. A questi si aggiungono inibitori delle proteasi di terza generazione e inibitori non nucleosidici della transcrittasi inversa di seconda generazione di cui ormai consolidato nella pratica clinica.
E il vaccino? Per quel che riguarda la ricerca su un vaccino efficace per la prevenzione e la cura dell'infezione (da attuarsi in soggetti già colpiti dall’infezione), vi sono stati nel corso degli anni diversi tentativi non sempre coronati da successo. L’obiettivo è quello di stimolare il sistema immunitario contro specifiche proteine del virus, anche se nessuno dei vaccini canditati ha determinato una produzione di anticorpi in grado di protezione dall'infezione. A tal proposito si ricorda, proprio perché la notizia è di pochi giorni orsono, la sperimentazione condotta dall'Istituto superiore di sanità che ha portato risultati per quanto preliminari, interessanti.