Un nuovo francese parlato a ritmo di rap. A Parigi. Non stiamo parlando solo della Banlieue, la periferia parigina dove vivono i nuovi immigrati, ma di un linguaggio che fa breccia anche tra quelli che potremmo impropriamente definire i “francesi-doc”, soprattutto giovani. Di questo fenomeno di contaminazione linguistica si occupa Roberto Paternostro, laureato in Università Cattolica, al secondo anno di dottorato in Linguistica francese. Il suo studio sulla lingua dei giovani parigini è stato selezionato tra i tre migliori presentati in occasione del convegno annuale dell'Association for French Language Studies, svoltosi a Nancy (Francia) dall'8 al 10 settembre scorso. Una ricerca sul campo, redatta in co-tutela con l'Université Paris Ouest Nanterre La Défense (Parigi, Francia), sotto la direzione delle professoresse Enrica Galazzi per la parte italiana e Françoise Gadet per la parte francese. «Il contatto quotidiano tra il francese e le diverse lingue dell'immigrazione - spiega Paternostro - sembra essere all'origine di un’effervescente attività di creazione linguistica: prestiti, calchi, costruzioni sintattiche originali, nuove sonorità e intonazioni. Tra questi, il fenomeno di certo più in vista è quello della lingua dei giovani, un fenomeno che spesso esprime il malessere della segregazione e dell'esclusione tipico delle cités di periferia, ma che nello stesso tempo presenta una forte componente identitaria».
Quali sono le caratteristiche principali di questa linguaggio giovanile? Innanzitutto un uso massiccio di termini di origine araba o zigana (kiffer che sta per aimer; bedav che sta per fumer) o del verlan, che consiste nell'invertire le sillabe delle parole (meuf al posto di femme; keum al posto di mec). Dal punto di vista fonetico, ad esempio, si sta diffondendo sempre di più l'abitudine di affricare le occlusive dentali t e d o velari k e g davanti alle vocali i e u (étchude al posto di étude), di usare una r a colorazione araba o un'intonazione martellante, dalla melodia che sale e scende velocemente sull'ultima sillaba accentuata e che ricorda un po' il ritmo del rap, contribuendo alla percezione di una certa aggressività.
Una sonorità inedita per il francese… Sì, i primi risultati della mia ricerca, presentati al convegno di Nancy, riguardano proprio la diffusione di un nuovo pattern intonativo dei giovani di banlieue, che sembra nascere dal contatto del francese, lingua tradizionalmente caratterizzata da un accento fisso e da un ritmo lineare, col paesaggio sonoro multilingue della periferia parigina.
Risponde solo a un bisogno identitario questo fenomeno? C’è una componente ludica e anche una criptica tipiche delle nuove generazioni, ma c’è anche la risposta alla segregazione e al disagio. Eppure c’è un dato molto curioso che spinge questo modo di esprimersi fuori dei figli di immigrati provenienti dal nord Africa.
Cioè? A diffonderla sono i giovani franco-francesi, che non provengono da famiglie di immigrati, ma che vivono quotidianamente in contatto con gli ambienti multilingue e multiculturali. Si tratta di una “lingua” spesso “delocalizzata”, che oltrepassa il confine geografico della banlieue, e che non è necessariamente legata a un'origine etnica.
Perché sfonda tra gli autoctoni? I mass media giocano un ruolo primordiale nella promozione e nella legittimazione di pratiche linguistiche socialmente connotate ma che possono godere di un prestigio latente, collegato al fascino esercitato dagli outsider. Parlare come un giovane di banlieue è diventato quasi una moda per molti adolescenti ed è questo, infine, che ne permette la diffusione.
Come la prendono francesi e puristi? Le reazioni nei confronti del francese dei giovani non sono positive, perché risulta spesso aggressivo e incomprensibile. Eppure tutti imparano almeno qualche parola, anche perché fa tendenza e fa sentire più giovani. La reazione dei puristi la si può leggere sui media e sa di catastrofismo.