Su un campione di tremila adolescenti di età compresa tra i 12 e i 19 anni emerge che quasi il 40% ha assistito a fenomeni di bullismo nella propria scuola. È quanto riporta il nono rapporto di Telefono Azzurro sull'infanzia e l'adolescenza. Un'altra indagine, condotta dalla Società Italiana di Pediatria, afferma che 8 ragazzi su 10 – direttamente, come vittime, o come spettatori – hanno vissuto episodi di prepotenze. Ilaria Folci, neo-dottore di ricerca del dottorato in “Persona, Sviluppo, Apprendimento”, è l'autrice di una tesi dal titolo “Adolescenti tra realtà di trasgressione e scelte di valori. Prospettive pedagogiche”, lavoro in cui è stata seguita da Maria Luisa De Natale. La neo dottoressa ha studiato il fenomeno della devianza adolescenziale e la sua rilevanza nella crescita dell'individuo.
Del bullismo si è parlato a lungo, anche nei media a livello nazionale. Le statistiche lo disegnano come un fenomeno in crescita. In realtà, i dati non sono indicativi di un aumento del fenomeno, ma forse oggi, nonostante ci sia ancora una certa reticenza da parte degli adulti ad affrontarlo in modo radicale, vi è una maggiore sensibilizzazione: corsi di formazione e di informazione, campagne pubblicitarie, mobilitazioni del governo.
È cambiato l’atteggiamento verso il fenomeno? Se da una parte tutto ciò ha permesso di focalizzare l'attenzione sulla questione, dall'altra ha creato confusione: tutto ricade sotto “l'egida” del bullismo. In realtà questo fenomeno ha caratteristiche particolari e oggi si manifesta con modalità diverse: la crudeltà di alcuni atti, gli strumenti che si utilizzano, come per esempio il cyberbullismo, sono cambiati seguendo l’evoluzione e i cambiamenti della società.
Quale deve essere il ruolo dell’adulto nella crescita di un adolescente “difficile”? È fondamentale riuscire a dare un significato ai comportamenti inadeguati messi in atto dai ragazzi. Nella maggior parte dei casi si può intravedere, nella trasgressione dell'adolescente, il desiderio di provocare nell’adulto una risposta a una richiesta di aiuto che affonda le proprie radici nella mancanza di orientamenti validi. L’adulto, allora, rappresenta la persona che può tendere la mano, che può aiutare l’adolescente a uscire dagli schematismi del determinismo, per concedergli la possibilità di scegliere alternative alla via della devianza.
Quale prospettiva pedagogica indicherebbe come più adatta in questi casi? L’attenzione dell’adulto all’educazione dei soggetti in crescita deve concretizzarsi in un’attività concertata di presa in carico dei minori, sia in fase di prevenzione, sia in fase di recupero: non è il singolo adulto o la coppia genitoriale che può educare, ma è l’unione di intenti e la promozione di buone prassi educative a opera delle agenzie deputate all’educazione (gruppi formali, associazionismo, volontariato, ma anche enti locali, istituzione scolastica, mondo dell’extrascuola, gruppi parrocchiali), con i propri ambiti di competenza e le proprie risorse a disposizione che permettono di creare un "humus educativo" nel quale il giovane possa evolvere.