La crisi del debito sovrano: una pesante zavorra che rischia di far colare a picco l’Europa, cancellando in un solo colpo trattati, ideali e anni di cooperazione e sviluppo che hanno plasmato l’Unione Europea. Questa è la minaccia all’orizzonte avvistata dal terzo numero 2011 dell’Osservatorio Monetario, il rapporto quadrimestrale realizzato dal Laboratorio di Analisi Monetaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con l’Associazione per lo Sviluppo degli studi di Banca e Borsa (Assb). L’Osservatorio presentato il 21 Novembre si è dedicato totalmente all’analisi della crisi in atto all’interno dell’Eurozona. Ed è proprio in questo contesto che «l’Italia deve riscoprire il suo orgoglio e riappropriarsi del ruolo storico all’interno del continente», per dirla con le parole del presidente della Assb, Giuseppe Vigorelli, che ha dato il via al dibattito, moderato da Marco Lossani, direttore del Laboratorio di Analisi Monetaria (Lam), a cui hanno partecipato i professori Andrea Boitani, Angelo Baglioni e Massimo Bordignon. A chiudere la discussione del rapporto Stefano Fantacone, responsabile delle analisi macroeconomiche del Centro Europa Ricerche (Cer).
Il quadro congiunturale è caratterizzato da un rallentamento complessivo dell’area euro che non risparmia neanche Francia e Germania. Nel secondo trimestre del 2011, la crescita del Pil è stata solo dello 0,2% e gli altri indici hanno registrato un tendenziale peggioramento. È il caso dell’inflazione al 3% nel mese di settembre e dallo squilibrio delle partite correnti, cioè della differenza tra risorse disponibili e spese realizzate. Proprio quest’ultimo evidenzia problemi reali radicati nei paesi tristemente conosciuti come Piigs ovvero: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Il professor Lossani ha evidenziato le cause che hanno determinato la perdita di competitività di questi paesi rispetto ai partner europei. L’aumento unitario del costo del lavoro, dovuto all’introduzione dell’euro che di conseguenza prevede un cambio fisso, ha determinato una dissoluzione del vantaggio competitivo. Oltre alle differenze sistemiche, per alcuni paesi come Irlanda e Spagna, il divario è stato incrementato dalla bolla immobiliare che ha messo in crisi il settore privato, sostenuto grazie all’indebitamento sovrano. In Grecia e in Portogallo è invece il settore pubblico ad aver sofferto maggiormente.
Andrea Boitani, tra le cause evidenzia i limiti del trattato di Maastricht e la composizione dell’Unione. Il primo ignora il ruolo della politica fiscale in grado di assorbire shock asimmetrici negativi. Il secondo, invece, non permette una naturale mobilità del lavoro frenata dalle differenze linguistiche e regolamentari dei singoli stati membri.
La situazione greca, dal 2010 a oggi, ha messo in luce le difficoltà europee nella gestione della crisi. A luglio, l’accordo raggiunto tra governi e creditori privati, per estendere la durata del debito a 15/30 anni e una riduzione dei tassi d’interesse, si è rivelato insufficiente. Di conseguenza sono state richieste, il 26 ottobre, misure più importanti in termini di ristrutturazione del debito. Stilando un pre-accordo che prevedrebbe un haircut (taglio del debito) del 50%. «È un’atmosfera da default - annota Angelo Baglioni -. Alcune banche potrebbero non garantire l’accordo esercitando i credit default swap (Cds - polizze a copertura del debito). Ciò genererebbe un problema analogo alla compagnia assicurativa americana Aig, che si trovò in serie difficoltà per avere venduto Cds per importi molto alti». Al di là dei possibili haircut un altro meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano è costituito dagli Eurobond. Titoli di debito ad hoc emessi da un’agenzia europea con il compito di finanziare gli stati membri garantendo un tasso d’interesse inferiore rispetto a quello dei singoli stati in sofferenza.
La rischiosità del debito sovrano, misurabile nello spread con i bund tedeschi, ha raggiunto livelli significativi in Italia. Gli interessi attuali, sull’ordine del 7%, ne rendono la sopportazione insostenibile. Le conseguenze sono tangibili lato impieghi nel sistema bancario. Il verificarsi del fenomeno del credit crunch (stretta del credito) è in questo periodo la risposta fisiologica di una banca per preservare liquidità ai danni di imprese e famiglie. Il professor Bordignon evidenzia inoltre una mancanza d’integrazione, palese nel direttorio franco-tedesco che rappresenta di fatto un’Unione Europea priva di istituzioni legittimate democraticamente a rappresentare tutti i paesi membri.
In Italia, si può tornare a parlare di ripresa solamente nel 2014. La crescita del Pil dovrebbe attestarsi in misura inferiore all’1% e per il reddito delle famiglie, dopo 6 anni di contrazione, è previsto un ritorno in positivo. «Bisogna resistere alle pressioni europee. Il pareggio di bilancio nel 2013 è troppo ambizioso e non è credibile dai mercati», mette in guardia Stefano Fantacone, che denuncia l’incapacità del governo Berlusconi nell’aver creato fiducia, garantito equità sociale e nell’aver solcato il terreno per la crescita. Tutti obiettivi fondamentali che devono essere scritti, per forza di cose, nell’agenda del governo Monti.