Il primo decennio del nuovo millennio si è chiuso con un deludente livello del prodotto e della spesa pro-capite delle famiglie, che nel 2010 sono stati inferiori a quelli di inizio secolo. Il dato sconfortante è il punto di partenza dell’indagine che Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica, ha presentato nel corso della giornata di studio dello scorso 7 aprile dedicata al tema “La ricchezza delle famiglie … in tempi di crisi”.
Non è un mistero che le famiglie italiane siano in una crescente difficoltà economica, motivata dalla congiuntura della crisi ma anche dal fenomeno costante dell’invecchiamento della popolazione. Nel 2010 il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito e con esso anche la quota di risparmio. La pericolosa ricaduta di questo trend è la diminuzione degli investimenti sia da parte dei nuclei famigliari, sia delle imprese che non riuscirebbero a garantire nuove opportunità di occupazione soprattutto per i più giovani.
Le famiglie più in difficoltà che registrano una significativa diminuzione dei consumi, sono quelle più giovani, al di sotto dei 40 anni e con due o più figli (rispettivamente -4.5% e -8.5%). Sono aumentati, invece, i consumi dei single over 35 (+19%) e sono stati penalizzati i monogenitori (-6.2%) e i single under 35 (-7.2%). Chi ha maggiormente risentito della crisi sono complessivamente le famiglie, i giovani, i disoccupati e i ceti medi. Si consideri che la riduzione dei consumi ha coinvolto 7,5 milioni di minorenni.
Per superare questa impasse la speranza è nelle nuove generazioni che, pur avendo un reddito più precario e incerto, mostrano un dinamismo e un entusiasmo essenziali per risollevare le sorti dell’economia. Ma paradossalmente l’Italia non riesce a valorizzare l’immenso potenziale della risorsa più promettente per il Paese, cioè i giovani, come dimostrano i tassi di disoccupazione in aumento. La ricerca rileva che la forza lavoro potenziale dal 1992 (69.1%) è diminuita entro il 2010 fino al 65.5% e in prospettiva scenderà ancora fino ad arrivare nel 2030 al 60.6%.
Se è vero che l’impegno di risorse pubbliche per la famiglia aumenta il reddito e restituisce libertà di scelta, un obiettivo economico fondamentale per il nostro Paese è aumentare le dimensioni della famiglia e dell’impresa: famiglie più grandi e numerose e imprese più grandi e competitive favoriranno l’economia laddove l’hanno penalizzata i nuclei familiari più piccoli e imprese familiari meno solide e con scarse possibilità di impiego.
Posto che non ci sono soluzioni facili da estrarre dalle tasche, l’unico auspicio, conferma l’indagine proposta da Campiglio, è che si riesca a coniugare la riduzione del debito pubblico con la ripresa economica, la produttività e l’aumento del potere d’acquisto. Diversamente si rischia di perdere, oltre che un altro decennio, anche un’altra generazione. E la famiglia è un soggetto importante di questa inversione di tendenza: è fondamento di uno sviluppo sostenibile, cioè di un continuo accrescimento del patrimonio del Paese; crea ricchezza umana che diventa ricchezza del Paese sia sul piano qualitativo che quantitativo; concilia le ragioni del bisogno con quelle dell’efficienza e quindi riduce le possibili cause di squilibri sociali.