Passa molto tempo a occuparsi di relazioni industriali; conosce a fondo le questioni sindacali e sa tutto di gestione amministrativa. Ma ha un unico neo: presta scarsa attenzione al personale interno approfondendone poco esigenze e aspettative. È questo l’identikit del professionista che opera nel settore delle Human Resource (HR), che non dà torto al sentire comune che pensa parli poco con i dipendenti dell’azienda in cui opera e soprattutto che si occupi solo dell’hiring&firing, ovvero delle assunzioni e dei licenziamenti. A tracciarne il profilo la ricerca Business e funzione risorse umane condotta tra i top manager, line manager e HR manager di 40 medie e grandi aziende italiane ed europee operanti sul territorio nazionale per un totale di circa 600 interviste.
L’indagine - conclusa a dicembre 2008 e aggiornata a marzo 2009 - è stata realizzata da Ferruccio Cicogna e Giuseppe Arcamone, rispettivamente direttore Divisione imprese e responsabile formazione dell’Associazione per gli studi aziendali e manageriali dell’Università Cattolica (Asam). «Tutto è nato dall’idea di analizzare comportamenti, politiche e sistemi dell’HR così come vengono percepiti dal top management in qualità di best-practices nel guidare l’organizzazione verso il successo e, quindi, comprendere come e quanto esse siano importanti e praticate all’interno dell’azienda. Con un obiettivo: migliorare le performance attuali di coloro che lavorano in questo ambito professionale», spiega Ferruccio Cicogna, che ha alle spalle una lunga esperienza nel settore accumulata nel corso di un lungo periodo di attività manageriale in un’importante multinazionale del largo consumo. «Ciò che abbiamo fatto - continua Giuseppe Arcamone - è stato individuare oltre 80 prassi e comportamenti osservabili nella funzione delle risorse umane, ricondurle a 13 criteri, che, a loro volta, sono stati raggruppati in 5 aree strategiche prioritarie: conoscere scenari di riferimento e business, praticare l’orientamento al cliente; costruire e sviluppare i profili HR; costruire le competenze e assicurare la prestazioni HR; costruire e governare i processi HR».
Sulla base di queste aree strategiche, qual è la percezione che i top manager hanno dei professionisti delle HR? «Ciò che emerso è un disallineamento tra le aspettative delle prime linee e il direttore delle risorse umane – osserva Cicogna –. In particolare, quest’ultimo è poco allineato con il business del contesto aziendale in cui è inserito. Non solo, più che essere un “facilitatore di processi” e un punto di riferimento con cui poter parlare e utile alla guida dell’azienda, non sempre è in grado di supportare il manager dal punto di vista strategico».
Una mancanza di allineamento che nelle aziende italiane è molto evidente. «In Italia resiste una concezione tradizionale del ruolo del direttore del personale che lo vede più orientato a svolgere operazioni di ordinaria amministrazione, a sciogliere nodi sindacali e risolvere situazioni di emergenza che non a interpretare le esigenze del cliente interno. Tuttavia, si tratta di una prassi consolidata non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei. Radicata a tal punto che neppure la grave crisi economica sembra averla offuscato».
A partire dai risultati dell’indagine, Asam ha mobilitato un gruppo di professionisti delle Human Risource, composto da aziende associate e non, per ripensare il ruolo dell’HR, anche in relazione alle trasformazioni in atto sia in campo economico sia in ambito lavorativo. Ne è derivato che i top manager richiedono al direttore del personale di essere co-pilota nello sviluppo del business e di porsi tra i protagonisti del cambiamento della realtà aziendale. Deve, inoltre, creare “palestre” per apprendere l’«arte di essere utili», recuperare il senso del lavoro umano e, last but not least, dare vita a una nuova organizzazione della funzione delle risorse umane.