La somministrazione di un collirio a base di Nerve Growth Factor (Ngf) in pazienti pediatrici e adulti affetti da gliomi delle vie ottiche (Gvo), ha evidenziato effetti significativi sul sistema visivo, migliorandone, temporaneamente, l’acuità visiva. È questo, in sintesi, il risultato di una sperimentazione condotta attraverso due studi pilota, uno su sei bambini e adolescenti, un secondo su un adulto, affetti da gravi deficit visivi secondari a Gvo.
Gli studi sono stati effettuati da ricercatori dell’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli di Roma Benedetto Falsini dell’Unità operativa di Oftalmologia e Antonio Chiaretti dell’Istituto di Clinica pediatrica, con il coordinamento di Riccardo Riccardi, direttore dell’Uo di Oncologia Pediatrica del Gemelli, recentemente pubblicati su Neurorehabilitation and Neural Repair , rivista ufficiale della Società americana di Neuroriabilitazione.
Tale promettente risultato deriva dal fatto che i recettori per l’Ngf, tramite cui si esplica l’azione di questa famosa neurotrofina, scoperta dal Nobel Rita Levi Montalcini, sono presenti lungo tutte le vie di conduzione e le cellule ganglionari retiniche. «È stato dimostrato, infatti, che la somministrazione congiuntivale di Ngf è efficace nel trattamento di pazienti con ulcere corneali e con gravi deficit visivi secondari al glaucoma», spiega il professor Falsini.
«Il Nerve Growth Factor (Ngf) è una neurotrofina, fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza dei neuroni del Sistema Nervoso Centrale e Periferico - afferma Chiaretti -. Per la sua azione neuroprotettiva, la somministrazione intracerebrale di Ngf è stata già sperimentata per il trattamento di alcune patologie neurologiche degenerative, quali il morbo di Parkinson e la malattia di Alzheimer».
Ai pazienti in cura al Gemelli è stato somministrato, in entrambi gli occhi, un collirio contenente Ngf diluito in soluzione fisiologica, tre volte al giorno, per dieci giorni consecutivi secondo risultati preliminari di precedenti protocolli sperimentali. «Già dopo i primi giorni di trattamento, soprattutto per quanto evidenziato dai pazienti adulti, si è assistito a un notevole e significativo miglioramento della funzionalità visiva – spiega Chiaretti -, che ha permesso loro di riprendere a camminare autonomamente, guardare la Tv e svolgere le comuni attività domestiche senza l’ausilio di altre persone. L’analisi statistica eseguita sui potenziali evocati visivi (Pev) e sugli elettroretinogrammi (Eeg), ha evidenziato un miglioramento intorno al 200%».
L’acuità visiva di questi pazienti, però, dopo circa due mesi dalla sospensione del trattamento, è peggiorata nuovamente, suggerendo la necessità di programmare ulteriori studi per comprendere appieno i meccanismi neuroprotettivi indotti dall’Ngf. «Se tali risultati preliminari saranno confermati da queste nuove ricerche – dice ancora il dottor Chiaretti -, la somministrazione di Ngf per via congiuntivale, potrebbe aprire nuove prospettive terapeutiche per il trattamento dei deficit visivi indotti dai Gvo».
«L'aspetto più sorprendente di questo studio pilota è rappresentato dal miglioramento funzionale osservato - spiega l’oftalmologo Benedetto Falsini -. Infatti, secondo la concezione clinica classica, un danno degenerativo delle cellule ganglionari associato a Gvo porta a una perdita irreversibile delle stesse e non è suscettibile di correzione terapeutica. I risultati ottenuti mostrano invece la possibilità di un miglioramento funzionale, che può essere legato al recupero di almeno una frazione di cellule danneggiate, ma non in modo irreversibile. In parallelo con questi nostri studi altri ricercatori nel mondo e in Italia stanno fornendo in modo indipendente evidenze simili alle nostre sulle cellule della retina. Si apre, quindi, una nuova era nel concetto della cosiddetta “neuroprotezione retinica”: non più solo contenimento del danno e della sua evoluzione, ma anche recupero della funzione. L'implicazione terapeutica per malattie finora ritenute incurabili come le otticopatie degenerative, e quindi di elevato costo sociale per la conseguente cecità, è intuibile ed enorme».
In età pediatrica, alcuni tumori a lenta crescita, come i gliomi delle vie ottiche (Gvo), la cui mortalità è fortunatamente bassa (intorno al 10%), e i craniofaringiomi, che non mostrano degenerazione maligna e rappresentano il 2-3% di tutti i tumori primitivi dell´encefalo con maggiore incidenza nell’età pediatrica (5-13% dei tumori encefalici del bambino), purtroppo portano inevitabilmente alla cecità. Entrambe le patologie portano alla compromissione della funzione visiva dei bambini. Le terapie anti-neoplastiche sono in grado di controllare, nel tempo, la progressione del cancro, anche se, quasi inevitabilmente, il danno visivo di questi bambini tende a progredire fino alla perdita della vista. «A oggi, non sono disponibili terapie specifiche che siano in grado di controllare o far regredire le lesioni delle vie ottiche indotte dal tumore. Ogni nuova strategia terapeutica in grado di bloccare la degenerazione delle vie ottiche – conclude il professor Riccardi - sarebbe, quindi, di grande importanza per questi piccoli pazienti».