Una congiuntura mondiale caratterizzata da una fase espansiva dell’economia, guidata soprattutto dai Paesi emergenti. Eppure, il contesto economico internazionale resta incerto. Complici il rialzo dei prezzi delle materie prime e l’assenza di nuove misure di stimoli all’economia. Un capitolo a parte merita l’Italia dove, stando anche all’ultimo rapporto Ocse, la ripresa stenta a decollare. È questo in sintesi il quadro macroeconomico disegnato dai ricercatori del Laboratorio di analisi monetaria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nel numero 2/2011 dell’Osservatorio Monetario, il rapporto quadrimestrale sull’andamento economico nazionale e internazionale.
Gli autori lo hanno presentato al pubblico lo scorso 8 luglio nella Cripta Aula Magna dell’Ateneo di largo Gemelli durante un incontro promosso dall’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (Assbb) in cui sono intervenuti, tra gli altri, Giovanni Verga, dell’Università degli Studi di Parma, Alberto Banfi e Paolo Balduzzi, entrambi dell’Università Cattolica. Le conclusioni della presentazione, introdotta dal presidente dell’Assbb Giuseppe Vigorelli e coordinata dal professor Marco Lossani, sono state affidate a Lucio Landi, membro del Consiglio degli esperti del dipartimento del Tesoro, ministero dell’Economia e delle finanze, che ha tenuto una relazione intitolata Il Rapporto Ocse sull’Italia.
Oltre all’analisi della congiuntura monetaria prevalente nell’Eurozona e negli USA, nel rapporto figurano anche due interessanti approfondimenti: il primo, dedicato a una stima del livello di efficienza delle società di gestione del risparmio (Sgr) operanti in Italia; il secondo, al federalismo fiscale. È stato Alberto Banfi, docente di Economia delle aziende di credito nella facoltà di Scienze bancarie, a delineare i risultati dell’indagine sull’industria italiana del risparmio gestito condotta dalle ricercatrici Giuliana Borello e Francesca Pampurini. Un tema, quello dell’efficienza degli intermediari finanziari, non nuovo per l’Osservatorio Monetario in quanto già trattato in due edizioni precedenti (Om 3/2003 e Om 1/2009).
In particolare, oggetto della ricerca le Sgr che operano sul territorio nazionale con l’obiettivo di misurarne l’indice di efficienza (ossia redditività e performance) sia in termini di costo sia di profitto e comprenderne le motivazioni che ne limitano la crescita.
A fine 2010 le Sgr operanti in Italia erano 195, di cui circa il 40% specializzato nella gestione di fondi aperti e altre gestioni, e con un tasso di redditività non eccessivamente brillante. Basti pensare che un terzo ha chiuso l’esercizio 2010 con una perdita: di queste più del 50% gestiscono fondi chiusi di natura immobiliare, che, trattandosi di operatori di recente costituzione, non hanno ancora raggiunto volumi di attività tali da consentire la copertura dei costi.
L’analisi delle ricercatrici della Cattolica si è concentrata su un campione di 81 Sgr tradizionali attive nel periodo 2004-2009. Di queste 61 fanno capo a un gruppo bancario e 5 a un gruppo assicurativo. Rilevante anche la quota di quelle appartenenti a società straniere (21). Dall’analisi dei 395 bilanci del campione indagato nel periodo osservato risulta che l’industria del risparmio gestito presenta un indice di cost efficiency del 61,9% e di profit efficiency del 73,5%. Inoltre, sempre sulla base dei dati presi in considerazione, emerge una situazione di forte differenziazione in termini di costo tra le Sgr del campione indagato, differenziazione che si abbassa sul fronte del profitto.
Ancora: i risultati riguardanti l’efficienza di profitto mettono in evidenza un elevato livello di concorrenza tra gli operatori. Al contrario, si sono palesati notevoli margini di miglioramento dal lato dei costi. Insomma, un insieme di differenze che la dicono lunga sul fatto che l’intervento del manager di ottimizzare il processo produttivo e ridurre al minimo i costi potrebbe avere effetti positivi. Non solo. Ciò indica, come ha osservato il professor Banfi, che l’attuale configurazione dell’industria italiana del risparmio gestito presenta possibilità di miglioramento in termini di efficienza che possono essere sfruttate solo modificando la morfologia del sistema. Pertanto, è possibile attendersi che il settore delle società di gestione potrebbe essere oggetto nel prossimo futuro, proprio come già avvenuto in quello bancario, di un processo di concentrazione che le porterà ad omologarsi alla qualità dei servizi offerti dalle concorrenti europee.
Dal risparmio gestito al federalismo fiscale. Ad analizzare il tema nel corso del dibattito è stato Paolo Balduzzi che, insieme a Maria Flavia Ambrosanio, docente di Scienza delle finanze, ha curato gli ultimi capitoli dell’Osservatorio monetario in cui sono raccolti i contenuti essenziali della Legge Delega 42/2009, meglio nota come Legge Calderoli, e i decreti legislativi, recentemente varati dal Governo, per ciò che concerne i rapporti finanziari tra Stato centrale, Regioni ed enti locali, in particolare i Comuni. Un’analisi accurata che, anche attraverso dati e simulazioni, fa vedere gli scenari futuri del federalismo fiscale, mettendone in evidenza alcune criticità, a partire dalle fonti di finanziamento fino all’intricata questione dei meccanismi e dei criteri di redistribuzione delle risorse economiche. Criticità che, ha osservato il ricercatore, danno adito a diversi interrogativi: Cosa succede all’autonomia tributaria? Cosa succede alla spesa? Aumenterà la pressione fiscale? Ai quali forse sarà possibile rispondere solo all’indomani del decreto attuativo sul federalismo fiscale che dovrebbe entrare in vigore il 1 gennaio 2013.