di Marianna Di Piazza e Antonio Di Francesco
Coniugare carriera sportiva con istruzione e lavoro: è la sfida che ogni atleta si trova ad affrontare durante il proprio percorso professionale. Allenamenti intensi, competizione, voglia di raggiungere alti livelli rendono difficile per le giovani promesse dello sport conciliare i due mondi, così gli atleti si vedono spesso costretti a scegliere tra università o lavoro e attività agonistica.
A volte non bastano impegno, motivazione e responsabilità, ma sono necessari programmi di Dual Career che permettono ai due percorsi di dialogare tra loro. La doppia carriera aiuta gli sportivi a sviluppare nuove professionalità che entreranno in gioco alla fine del percorso agonistico. Da atleti professionisti a manager o imprenditori di successo. Tra gli esempi di questa transazione, tre campioni dello sport che a fine carriera hanno saputo reinventarsi: Marco Arpino, atleta olimpico di scherma, oggi responsabile Progetti speciali del Coni; Filippo Corti, giocatore e membro dell’Associazione italiana calciatori. E Antonio Rossi, oro olimpico ad Atlanta e Sydney, oggi assessore allo Sport e Politiche per i Giovani di Regione Lombardia.
I tre campioni sono stati tra i protagonisti della conferenza sulla sfida della Dual Career in Italia, promossa da Cattolicaper lo Sport nella sede di via Nirone dell’Ateneo per mettere a confronto la cultura della scuola e quella dello sport. L’Unione Europea ha redatto una serie di linee guida per orientare gli Stati membri, con l’obiettivo di sensibilizzare governi, federazioni, università e istituti e creare le giuste condizioni per la doppia carriera degli sportivi.
«Oggi c’è un estremo bisogno di sviluppare una adeguata conoscenza della Dual Career, soprattutto per gli atleti che si trovano a concludere il loro percorso in età ancora giovane e hanno tutta la vita davanti per potersi reinventare» ha spiegato Caterina Gozzoli, docente di psicologia dell’Università Cattolica e direttrice dell’Alta Scuola in Psicologia “Agostino Gemelli” (Asag).
Gli atleti spesso non pensano al post carriera, ma, se sostenuti dalle organizzazioni sportive e incentivati dai programmi di scuole e università, possono riuscire a conciliare nel migliore dei modi impegni accademici e sportivi per creare la loro “seconda vita”. «La formazione è fondamentale anche per la performance sportiva» ha affermato Fabio Santoro, responsabile marketing Lega Serie A.
Per garantire l’istruzione alle promesse sportive, è nata la piattaforma WEBsport 3.60, ideata per contrastare la dispersione scolastica dei giovani calciatori e favorirne la continuità negli studi. A esporre il progetto nel corso della conferenza la responsabile Marta Serrano, che ha posto l’attenzione sull’importanza della formazione, «perché - ha commentato - solo il 3-4% dei ragazzi diventano top player, mentre la maggior parte dovrà fare altro per guadagnarsi uno stipendio».
«Gli atleti hanno un limite di tempo in termini di presenza scolastica e possibilità di studiare nel tempo extrascolastico. Oltre all’istruzione a distanza, l’obiettivo dovrebbe essere quello di identificare un percorso formativo personalizzato per ogni atleta» ha aggiunto Marco Arpino.
È fondamentale che tra il mondo dello sport e quello accademico ci sia una comprensione reciproca perché, come ha spiegato Paolo Bouquet, delegato per lo sport dell’Università degli Studi di Trento, «il corpo docente spesso ritiene che lo sport abbia poco a che fare con l’università». Quello trentino è uno degli atenei italiani che ha già avviato diversi programmi di Dual Career.
La carriera di uno sportivo finisce, ma la vita continua e può regalare nuove opportunità.