“A volte, forse il più delle volte, le cose accadono casualmente, senza lunghe incubazioni, semplicemente perché una serie di coincidenze le rendono possibili”.

Così la prof. Elisabetta Musi, docente della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Ateneo piacentino, presenta il viaggio-studio in Africa, realizzato la scorsa estate insieme al prof. Alberto Gromi, ex collega, al prof. Andrea Ceciliani dell'Università di Bologna, alle studentesse - Elisa e Letizia - al primo anno di Scienze della Formazione e Susanna, anche lei proveniente da Scienze della Formazione e ora iscritta alla Laurea Magistrale a Milano, e Letizia, dell'Università di Verona, che era venuta a conoscenza dell'iniziativa da una docente della Cattolica che insegna anche nell'ateneo veronese.

Destinazione Shalom House, nella periferia di Nairobi, con l’obiettivo di visitare alcuni centri d’accoglienza dei bambini di strada della capitale del Kenya. Ad accogliere il gruppo piacentino gli operatori della ONG Amani, in seno alla quale è nata l’associazione “Koinonia”, una comunità di laici cristiani impegnati nel sociale fondata dal comboniano Padre Renato Kizito Sesana e riconosciuta dal Governo keniano.

Koinonia è un'organizzazione che “promuove lo sviluppo umano integrale e la vita della comunità, opera per una cultura di pace e solidarietà, cercando di contrastare i mali economici e sociali generati dall'individualismo. Costruisce progetti rivolti in particolare verso i  più piccoli in circostanze difficili, agli emarginati e agli oppressi. Il primo programma di lavoro è stato istituito in Zambia nell'anno 1980, mentre in Kenya, è iniziato nel 1990” (dal sito ufficiale).

Da anni gli operatori di Koinonia “scendono in strada” per incontrare i bambini che scelgono di allontanarsi dalle loro famiglie. Sono bambini spaventati ed esposti ai pericoli, al freddo, alla fame. Gli educatori li avvicinano con cautela e delicatezza, cercando di conquistarsi la loro confidenza e fiducia, per poi proporre un luogo di accoglienza che li possa sottrarre alla vita di strada.

Ciò che muove questi educatori – spesso a loro volta ex “bambini di strada” - è la convinzione che ogni bambino ha diritto all’educazione con cui dare una svolta al proprio futuro, ha diritto a vivere in un contesto familiare e di cura; per questo da qualche tempo è iniziato un programma di incontro e supporto dei genitori dei bambini di strada, in modo che sia concretamente esplorata la possibilità di un rientro in famiglia.

“Nessuna nozione scolastica ti prepara a quello che puoi vedere in tanti paesi del mondo al di là della modernità di casa tua – spiega Elisa, studentessa di Scienze della Formazione - con i miei compagni di viaggio siamo stati nell’antica terra rossa dei Masai, l’idilliaco paesaggio che si estende a perdita d’occhio, dove il sole tramonta e sfumature rosse, gialle, azzurre e blu del cielo si intensificano ad ogni minuto. Le capanne nei boma sono fatte di rami di legno e sterco, alte pressappoco un metro e mezzo, senza finestre tranne che piccoli fori di qualche centimetro posti ai lati, che fungono da fuoriuscita dei fumi del fuoco tenuto acceso esattamente nel mezzo. Si vive con poco, lo stretto necessario eppure il sorriso dei bambini e delle bambine è grande”.

Visite alle baraccopoli di Nairobi, giornate trascorse nei centri di accoglienza a giocare con i bambini presenti, incontri con educatori locali e responsabili dell’ONG hanno caratterizzato i 15 giorni di permanenza in Africa dei docenti e delle studentesse della Cattolica di Piacenza: un’occasione straordinaria per calarsi in una cultura profondamente lontana dalla nostra, complessa, piena di contraddizioni, ma anche giovane, impregnata di entusiasmo, caratterizzata da un legame con la natura, con la terra che rende accessibili sapienze profonde.


“Non riesco a trovare parole adatte per spiegare cosa mi abbia spinto a partire – racconta Letizia - in questo viaggio, il più bello della mia vita fino ad ora, ho avuto il grandissimo privilegio di conoscere persone straordinarie, che hanno cambiato la vita di moltissimi bambini di strada, con i quali ho avuto l’onore di parlare, ridere, giocare e mangiare (perlopiù riso, pollo e chapati). Ho conosciuto giovani in grado di donare affetto senza freni, perfino ad una sconosciuta come me. Mi hanno insegnato innumerevoli giochi, filastrocche, balli. Tutto questo con una naturalezza disarmante, considerando che mi guardavano negli occhi per la prima volta e di me non conoscevano ancora nulla. Ricorderò per tutta la mia vita questo mio viaggio, l’Africa ti colpisce nel cuore e nell’anima”.


“Oltre alle strutture di accoglienza degli ex ‘street children’ – conclude la prof. Musi – abbiamo visitato due ospedali in prossimità di villaggi Masai, incontrando anche alcune famiglie che abitano nei Boma, tipiche capanne locali, dove i bambini si accostano agli adulti – anche stranieri, come noi - chinando il capo, in attesa che una mano esprima il saluto sotto forma di benedizione. Condividendo una tazza di tè abbiamo  ascoltato i loro racconti, il ruolo delle donne all’interno del villaggio, dove centrale è la figura maschile. E’ stata un’occasione  preziosa per sperimentarsi in un contesto culturale diverso, povero ma ricco di stimoli, per proiettarsi in una realtà che induce a riflettere sulle convinzioni e convenzioni della cultura Occidentale”.

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