Verificare il reale impatto della produzione di formaggio sull’ambiente, calcolando tutte le componenti coinvolte nella filiera produttiva: dai consumi di risorse energetiche e di acqua ai foraggi destinati all’alimentazione animale fino alla trasformazione in prodotto e in rifiuto. A scattare una fotografia così dettagliata dei prodotti caseari sono i ricercatori della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali della sede di Piacenza dell’Università Cattolica, impegnati in un’investigazione a tutto campo sul Grana Padano. Un’indagine tuttora in corso e grazie alla quale il team di ricerca si è aggiudicato nel 2013 il premio promosso dalla Fondazione Consumo Sostenibile nell’evento nazionale organizzato dall’Unione Consumatori presso il teatro Argentina di Roma.
«Il Consorzio di Tutela Grana Padano ha avviato insieme all’Università Cattolica di Piacenza una ricerca sul campo a livello di caseifici-tipo nelle situazioni territoriali differenziate che caratterizzano tutta l’area di produzione», racconta il professor Ettore Capri del centro di ricerca per lo sviluppo sostenibile Opera, tra i responsabili dello studio sulla produzione e il consumo sostenibile di uno dei formaggi più importanti al mondo.
«In particolare, i ricercatori dell’Istituto di nutrizione, con la supervisione del professor Francesco Masoero, insieme agli operatori del Consorzio, hanno individuato aziende agricole rappresentative dell’area di produzione per dimensione e caratteristiche strutturali, tipo di stalla, superfici agricole, e gestionali, diversa tecnologia e formazione degli operatori - continua il docente di Chimica agraria -. Per ognuna di esse è in corso un’investigazione specifica che prevede la raccolta dei dati sui consumi di risorse energetiche e di acqua dell’intera filiera produttiva: dalla produzione agricola dei foraggi destinati all’alimentazione animale fino alla trasformazione in prodotti caseari e produzione di rifiuti. Grazie a questa indagine, la prima in Italia per dimensioni e caratteristiche, disporremo di una fotografia reale degli impatti ambientali che si realizzano durante la produzione del formaggio, in primis il consumo di acqua e le emissioni di gas serra, tra le principali determinanti dei cambiamenti climatici».
Tra gli obiettivi del progetto figura anche quello di valutare e ridurre le impronte ambientali. «Il calcolo è effettuato tramite metodi di riferimento internazionali quali l’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment) realizzati dai ricercatori della Cattolica, in particolare dal gruppo diretto dal professor Marco Trevisan - spiega Capri -. Questo metodo applicato all’intera filiera, inclusi i mangimi destinati agli animali, il trasporto del formaggio e la produzione dei rifiuti, consente di scomporre tutte le fasi del processo produttivo, ognuna delle quali quantificata in termini d’impatto ambientale, quindi d’impronte. Solo per fare un esempio: chilogrammi di Co2 e litri di acqua consumati».
Una volta associate le impronte ambientali alle diverse fasi del ciclo di vita e alle diverse aziende, precisa il docente, è possibile avere a disposizione gli strumenti necessari per individuare strategie di riduzione. In altri termini: cambiando i mezzi tecnologici produttivi, utilizzando mangimi a minore impatto ambientale, razionalizzando la gestione dei liquami, impiegando imballaggi innovativi e modificando i comportamenti individuali verso una maggiore consapevolezza delle azioni produttive nei confronti dell’ambiente e della società.
«La sostenibilità alimentare - conclude Ettore Capri - è la base di un modello produttivo e di consumo etico. A patto che lo sforzo delle aziende venga premiato dalle scelte dei consumatori verso questa tipologia di prodotti. È la loro dieta equilibrata a contribuire in primis alla impronta ambientale: un consumo corretto di circa 30 g di al giorno corrisponde ad impronte ambientali paragonabili alla frutta e verdura. Ecco perché dobbiamo impegnarci anche a comunicare e informare i consumatori, e non solo gli agricoltori, sulle diete corrette per raggiungere una sostenibilità alimentare reale».