È riuscita a commuovere una platea di studenti la testimonianza del professor Nelson Cenci. Novantenne, reduce di Russia e medaglia d’argento al valor militare, conobbe don Carlo Gnocchi durante la seconda guerra mondiale. L’occasione per ripercorrere i difficili momenti della ritirata dalla Russia e ricordare il prete dei mutilatini a un anno della beatificazione è stata la conferenza organizzata il 21 ottobre dalla Biblioteca dell’Università Cattolica e curata dai professori Daniele Montanari e Giovanna Gamba: "Don Carlo Gnocchi: alle origini dell’opera di carità".
In cattedra con l’inseparabile cappello rattoppato da alpino, quasi fosse l’emblema delle sofferenze vissute durante i mesi trascorsi in battaglia, Cenci ha rivisitato con estrema lucidità e chiarezza l’incontro con il cappellano milanese nel 1941 in Montenegro. «Durante le messe che don Carlo celebrava improvvisando un altare decorato con fiori di campo ci diceva che la guerra è ingiusta e che quelli che stavano dall’altra parte della barricata non erano nemici, ma uomini come noi».
Oltre alla testimonianza personale di Cenci, Edoardo Bressan, docente di Storia contemporanea all’università di Macerata, ha ripercorso la storia di don Gnocchi, soffermandosi sul valore della sua opera. Il sacerdote ambrosiano dopo la tragica esperienza della guerra si dedicò interamente a opere di carità, raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione, opera che si concretizzerà nella sua Fondazione Pro Juventute. Nell’immediato dopoguerra, dopo il «pellegrinaggio» tra le valli alpine alla ricerca dei familiari dei commilitoni caduti in Russia e l’attività clandestina al fianco di partigiani e perseguitati politici - cosa che gli costò la prigionia a San Vittore - don Gnocchi assunse la direzione dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio, dove accolse i primi orfani di guerra. Lì, una sera, una giovane donna gli affidò il proprio figlio, mutilato a una gamba: un’esperienza che spinse don Carlo a dare vita alla sua Opera al fianco dei bambini mutilati, da cui il nome di «papà dei mutilatini».