«La Summer School di Cinema Internazionale è stata un'esperienza meravigliosa, il professor Fumagalli è un vero visionario nel trasformare lo story telling in un prodotto cinematografico o televisivo. Ha creato un programma di altissimo livello che raccoglie persone da tutto il mondo, me compresa, per fornire una formazione globale e di eccellenza rispetto agli standard del settore. Una delle cose che mi colpisce di più è quanta cura abbia nel selezionare i partecipanti: studenti in grado di apprezzare fino in fondo l’opportunità data dal corso, pronti per affrontarlo e che saranno in grado di gestire le informazioni, unirsi alle aziende e sviluppare i propri progetti».
In questi 12 anni di collaborazione con ALMED e con il prof. Armando Fumagalli, direttore scientifico della Summer School, la prof. Bobette Buster ha visto nascere una nuova generazione di sceneggiatori dalla Summer School. Una delle più note docenti di sceneggiatura e consulenti di sviluppo americane, ha dato avvio anche a questa edizione della Summer School di Cinema Internazionale dell’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo. Nella prima settimana di seminario i partecipanti hanno lavorato sui progetti nella forma di soggetti/trattamenti brevi, mentre nella seconda settimana, a settembre, saranno sceneggiatori e produttori italiani, responsabili di alcuni dei più grandi successi degli ultimi anni, a entrare nel dettaglio delle sceneggiature.
Bobette Buster ha insegnato in Europa e negli Stati Uniti, ha lavorato a Hollywood come Development and Creative Executive, a contatto con nazionalità diverse. All’inizio della sua carriera, gli Stati Uniti dominavano il mercato cinematografico globale per 2/3, mentre ora la situazione è ribaltata con una netta prevalenza europea, grazie allo svilupparsi di programmi di studio di alto livello, come la Summer School e il Master International Screenwriting and Production che sono stati in grado di alzare il livello, e al supporto finanziario concesso dai governi per la produzione di film e programmi televisivi di qualità.
Abbiamo chiesto alla professoressa le principali differenze che emergono tra Europa e Stati Uniti.
«In Europa è molto comune il pretesto di non disporre di fondi sufficienti, di set adeguati, di budget per star internazionali per competere con le produzioni amaricane, ma l’Europa è già di per sé un set magnifico, qualcosa che l’America può solo cercare di replicare. Soprattutto, ciò che conta è la storia e lo sviluppo di personaggi affascinanti/intriganti e vicende che tutti abbiamo voglia di seguire. Deve essere questo il focus dello story telling».
Ciò che accade spesso è che ci sono storie in grado di funzionare ed essere comprese nel profondo solo all’interno di un determinato Paese, per via di sensibilità o senso dell’umorismo diversi, per elementi troppo strettamente legati a un territorio, a una cultura o a un determinato contesto. Volendo lavorare nel settore è importante cercare di sviluppare storie con un valore universale, che attraversano i confini nazionali, con consapevolezza dell’audience globale: «I do not bring Hollywood principles, I bring universal principles» sottolinea Bobette Buster.
Ci racconta, per esempio, che Hollywood oggi è concentrata su action franchise movies da 200 milioni di dollari e molto redditizi (come Marvel, Star Wars etc.), indirizzati a un pubblico giovane e principalmente maschile, ma non sta investendo in generi come film drammatici, commedie o “heartfelt stories” (storie commoventi); è l’Europa a produrli più massicciamente, con budget da 5/10milioni di Euro, e a mostrare film fenomenali alla notte degli Oscar: «Queste sono le storie che durano, che tutti vogliono vedere, che vincono gli award. Molti registi e star che hanno iniziato con piccoli film in Europa hanno avuto la possibilità di crescere fino a essere scelti per il loro talento per successi hollywodiani. Difficilmente si è realizzato il processo inverso». La prof. Buster ritiene che anche nel suo caso sia stata preziosa l’esperienza in Europa, per capire l’andamento ed esserne una piccola parte.
Per un giovane script developer, qual è un consiglio per avere l’idea giusta su cui lavorare?
«La maggior parte delle volte un giovane autore non riesce a trovare l’idea giusta perché pensa a riflettere ciò che c’è già sul mercato e a riproporre un’idea che ha visto. In America, il primo giorno di corso pensano tutti a creare un film su serial killer, mafia, alieni, invasioni… e io dico loro, andiamo! Queste non sono le vostre storie, mentre ci sono tantissime storie che vorrei scriveste dalle vostre verità e dai vostri punti di vista. E lo stesso succede in Italia e altri Paesi. Bisogna insegnare ai ragazzi ad avere fiducia nelle proprie idee e a capire qual è una buona storia ben raccontata. È cio che io cerco di insegnare loro. Individuare una buona storia da raccontare e, in seguito, capire come svilupparla in un film da 90 minuti o 2 ore, o in una serie tv. A volte gli studenti creano storie da copioni teatrali o romanzi, ma il cinema e la televisione sono basati sul tempo, come la musica, quindi devono imparare a ragionare su quanto tempo richieda la messa in scena di una narrazione, la proiezione di una storia. Insomma, è un mestiere diverso che richiede una formazione specifica che richiede impegno e l’affiancamento di un mentore lungo il percorso».
Qual è il motivo del successo delle serie TV sul cinema?
«I 6 principali Studios stanno investendo molto sulle serie, ciascuno produce tra i 10 e 15 film l’anno (action), ma non stanno sviluppando il talento di registi e sceneggiatori brillanti. Quindi finiscono col diventare prodotti televisivi. Siamo in un’era con un’enorme confluenza di possibilità come Netflix, Amazon e nuovi canali, che danno l’opportunità agli sceneggiatori emergenti di far sentire la propria voce e creare story telling di lunga durata. L’audience lo ama, si parla infatti di binge watching quando si sta attaccati un intero weekend per finire di vedere una serie tv e adesso la qualità di alcune di queste è eccellente. Bisogna guadagnarsi la fiducia degli spettatori, di continuare a guardare una serie e voler tornare a vederla. Io resto sopraffatta, sono sicura che ognuno lo sia… È stato fatto un lavoro realmente innovativo su tutti i livelli. Credo sia un’era incredibile per essere uno story teller».