Si chiamano Senepol e Carora. Sono due piccole razze bovine caraibiche poco produttive, che hanno una variante di un gene che conferisce un’elevatissima resistenza al caldo. «All’Università della Florida, attraverso incroci ripetuti, hanno trasferito il gene di resistenza nella razza Frisona, sensibile alle alte temperature, e dimostrato che funziona anche in animali ad alta produzione» spiega il professor Paolo Ajmone Marsan, docente di Miglioramento genetico animale alla facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica a Piacenza.
Gli ultimi dati della Fao indicano che, nelle specie zootecniche, una razza su 10 è ormai estinta, e una su tre a rischio di estinzione. «Se avessimo perso Carora e Senepol, non avremmo mai avuto a disposizione questo gene che può rivelarsi veramente utile per garantire il benessere e mantenere la produttività dei bovini da latte in caso di riscaldamento globale del pianeta».
Questo traguardo è stato raggiunto grazie alle tecnologie “omiche”, che permettono di studiare in modo “olistico” i fenomeni biologici che determinano le caratteristiche degli organismi viventi. Così la genomica studia in parallelo tutti i geni di un organismo, la trascrittomica, l’espressione di tutti i geni; la proteomica studia tutte le proteine, la metabolomica tutti i metaboliti e l’epigenomica le influenze ambientali sull’espressione dei geni.
«Le scienze “omiche” rappresentano l’approccio più avanzato della ricerca biologica e possono essere utilizzate per caratterizzare e valorizzare le risorse genetiche animali, cioè le razze locali, per identificare geni e meccanismi biologici che sono alla base di caratteristiche di adattamento a condizioni ambientali particolari, di resistenza a stress e malattie, oppure di qualità apprezzabili dei prodotti che le rendono uniche» prosegue il professor Ajmone che, a capo dell’Istituto di Zootecnica e del Centro di Ricerca Nutrigenomica e Proteomica della facoltà di Scienze agrarie, è impegnato da tempo con il suo team di ricerca ad esplorare le applicazioni più avanzate di queste tecnologie con il fine primario di conservare la biodiversità.
«Le razze locali rappresentano una preziosa riserva di diversità, cioè di varianti genetiche uniche, utili anche per le razze più produttive e cosmopolite, quelle che sfameranno il mondo» aggiunge il professore. «Sono risorse genetiche che non dobbiamo perdere proprio ora che possiamo studiare a fondo e valorizzare i loro geni»
«La biodiversità è una ricchezza da preservare per ragioni legate alla sostenibilità futura delle produzioni zootecniche sia economica che ambientale e nel nostro paese anche sociale e culturale», conclude il professore, che l’11 ottobre è stato chiamato dalla Commissione europea a presentare le potenzialità delle nuove tecnologie “omiche” per la caratterizzazione, valorizzazione e conservazione delle risorse genetiche animale e a coordinare l’incontro di presentazione delle ricerche internazionali dei progetti di ricerca Horizon 2020, che trattano di conservazione della biodiversità nel settore zootecnico.