di Maria Pia Pattoni*
Dopo la riscoperta dei classici nell'Umanesimo e Rinascimento la cultura europea ne fu influenzata in modo massiccio, fino alla rivolta del Romanticismo, che pose fine alle rigidezze normative di una imitatio divenuta ormai manieristica. Si trattò di una liberazione provvidenziale: il ritorno ai classici offrì la possibilità di stabilire, con gli antichi un rapporto finalmente libero, fondato sulla scelta e non più sull'imposizione. Il mito classico fu così riscoperto per la sua profonda valenza simbolica, non più come armamentario erudito.
Nella lectio magistralis ho proposto alcuni esempi del fertile rapporto dei moderni con i classici, alcuni letterari (Pascoli, Kafka, Pavese, Heiner Müller), altri artistici (Böcklin, Klimt, De Chirico), per soffermarmi infine sulla diffusione del mito nell'immaginario collettivo, attingendo al simbolo forse più emblematico e polivalente, Prometeo. La sua rappresentazione corrente è quella di dio filantropo, patrono delle arti e delle tecniche, che col dono del fuoco avviò il genere umano sulla via del progresso. Quest'immagine, che ha il suo archetipo nel Prometeo Incatenato di Eschilo, s'impose in particolare con il positivismo: non a caso Auguste Comte nel suo calendario lo promosse a 'santo' di capodanno. Ancora ai nostri giorni Prometeo è soprattutto all'estero l'eroe culturale per eccellenza della contemporaneità, spesso rappresentato all'estero in monumenti pubblici (un esempio è la celebre statua dello scultore americano Paul Howard Manship (1934) presso il Rockefeller Centre di New York, che, luccicante d'oro, sovrasta con i suoi simboli tradizionali, la fiaccola e l'anello, la piazza sottostante).
Numerose a partire dall'Ottocento furono le utilizzazioni ideologico-politiche del mito. Tra i primi furono Lord Byron e Vincenzo Monti, che ricorsero al paragone in loro componimenti dedicati a Napoleone Bonaparte. Nel Risorgimento, per la facile analogia aquila di Zeus/aquila imperiale asburgica, si identificarono nel Titano i vari popoli oppressi dall'impero austro-ungarico (ne sono documento alcuni canti di Aleardi). Forse dalla predilezione di Nietzsche per questo mito deriva la sua diffusa utilizzazione nel nazismo. Nel 1933 Klaus Bertling e Johannes Menge mettono in scena a Lipsia, un propagandistico Prometheus in cui il Titano è il popolo tedesco e l'agognato liberatore, Eracle, è nientemeno che Adolph Hitler: da quell'anno si infittiscono le statue dedicate al dio, come la scultura di Arno Breker, Prometheus, ordinata da Goebbels per il parco del Ministero per l'istruzione pubblica e la Propaganda a Berlino.
Sul versante opposto, al di là della futura cortina di ferro, la santificazione che Marx riservò a questo "primo vero martire dell'umanità", "paradigma della ribellione ad ogni principio d'autorità», diede l'avvio a un vasto processo di proletarizzazione del Titano, che trovò espressione in scritti di propaganda e in monumenti su pubbliche piazze. Del resto, nelle sembianze di Prometeo lo stesso Marx era stato rappresentato in un'illustrazione allegorica del 1843, volta a condannare gli interventi della censura ai danni del Rheinische Zeitung, il quotidiano liberale di Colonia di cui aveva assunto la direzione, imprimendogli uno spiccato indirizzo democratico-rivoluzionario fino alla sua definitiva soppressione: Marx als Prometheus vi è raffigurato legato ai torchi della stampa, con il fegato roso dall'aquila prussiana, circondato da Oceanine renane piangenti.
Un travestimento burlesco del mito, in pieno clima da guerra fredda, è nel romanzo Confession de Prométhée N. (1960) di Max Aub, dove la spia Prometeo ruba all’America capitalista il segreto della bomba atomica per donarlo all’URSS, a vantaggio di un equilibrio mondiale. E fa sempre parte degli accidenti del mito il fatto che nei paesi satelliti dopo la liberazione dal dominio sovietico ancora Prometeo sia stato ripreso come simbolo della conquistata libertà. Un esempio di questa rifunzionalizzazione è il monumento in una piazza centrale di Dneprodzerzhinsk (Ucraina), che presenta fra loro accostati Prometeo (ancora con i ceppi ai polsi e alle caviglie) e la Libertà, nelle stesse fattezze della celebre statua del porto di New York, in atto di reggere insieme la mitica fiaccola, ad illuminare il mondo.
*docente ordinaria di Letteratura Greca all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.
Un estratto della lezione “Rileggere l'antico nel Novecento: sondaggi tra arte e letteratura”, tenuta dalla pro.ssa Pattoni in occasione della cerimonia di premiazione