Léonie, Lena, Sarah e Gregoire, studenti francesi alla Business School ISTEC di Parigi, in Erasmus nel nostro Ateneo da settembre, hanno vissuto le tragiche ore degli attentati di Parigi di venerdì sera da Milano.
Léonie e Lena, entrambe diciannovenni, hanno saputo la notizia su Facebook, ma all’inizio era difficile capire cosa stesse succedendo. Le loro famiglie vivono fuori Parigi e non si trovavano in città quella sera: questo ha fatto subito tirar loro un sospiro di sollievo. Qualche loro amico che vive là ha raccontato del silenzio surreale che si respira in metropolitana da venerdì. «A Milano non abbiamo la Tv quindi abbiamo seguito le news per lo più su internet e sui social media. Venire a conoscenza di una notizia del genere quando sei all’estero è surreale: non hai accesso diretto alle stesse informazioni che avresti se fossi a casa e soprattutto non riesci a respirare l’atmosfera che vivresti se fosse lì, anche se la gente qui ci è stata molto vicino».
Léonie e Lena erano a Parigi quando c’è stato l’attentato a Charlie Hebdo lo scorso gennaio, ma è chiaro che i due eventi si possono mettere in correlazione solo in parte: «In quel caso si parlava di violazione della libertà di espressione e il target era ben preciso: i giornalisti di una redazione satirica. Mentre venerdì l’obiettivo era uccidere il maggior numero possibile di persone, e quindi è un gesto incomprensibile». Il loro timore è che la Francia chiuda davvero le frontiere, perché diventerebbe difficile tornare dalle loro famiglie per le vacanze di Natale. In realtà, hanno sentito dire di due amici che in questi giorni sono riusciti ad spostarsi dalla Francia all’Italia, e viceversa, senza passare attraverso controlli troppo rigorosi.
Gregoire ha 19 anni, è nato a Parigi, dov’è tornato per l’università insieme a sua sorella, ma è cresciuto a Londra, dove vive la sua famiglia. Venerdì sera era in gita a Roma con l’Esn, il gruppo universitario che accoglie gli studenti Erasmus, e insieme a loro era in pullman per andare in discoteca. Alle 10 Gregoire ha ricevuto da un suo amico la notizia degli attentati allo Stade de France, e subito tutti i francesi del gruppo si sono riuniti a discutere e a seguire insieme gli aggiornamenti sul sito del giornale Le Parisien.
«Mia sorella venerdì era fuori, ma per fortuna è riuscita a tornare a casa sana e salva, mentre altri miei amici erano allo stadio, per cui ero agitato per loro quando ancora non si capiva se le esplosioni fossero avvenute sugli spalti o fuori. Sabato mi è venuta voglia di tornare a Parigi per controllare che fosse tutto a posto, ma poi ho cambiato idea perché so che mia sorella e i miei amici stanno bene».
Per Gregoire, la decisione presa da Hollande di bombardare Raqqa il giorno dopo gli attacchi è stata frettolosa e auspica che si trovi presto una soluzione lungimirante a livello internazionale. Da gennaio, in Francia, sono infatti cresciuti insicurezza, rabbia e preoccupazione. «Quello che è accaduto è contro tutti i nostri principi e viola i nostri tre valori cardine di Liberté, Egalité, Fratérnité: soprattutto quello di libertà, che include il rispetto per la libertà di espressione. L’Isis non sta combattendo una guerra di religione, il suo obiettivo è quello di dividere il mondo occidentale in musulmani e non, di portare a odiarci gli uni con gli altri – continua Gregoire –. Al contrario i musulmani parigini chiedono, ora più che mai, di non essere emarginati né tantomeno additati come responsabili dell’accaduto. L’unica soluzione è quindi quella di non cedere alle provocazioni degli jihadisti e di rimanere uniti contro il terrore».
Sarah ha 19 anni, e venerdì era a casa con degli amici. Anche lei ha ricevuto la notizia degli attentati da un’amica e ha subito chiamato la sua famiglia e i suoi amici per accertarsi che stessero bene. Per fortuna loro non erano coinvolti. La casa di Sarah si trova nelle periferie della capitale francese, vicino al carcere di Fresnes, dove sono imprigionati molti degli jihadisti catturati finora in Francia.
«Questa settimana mi verranno a trovare due miei amici da Parigi e il mio ragazzo in questi giorni era qui con me» racconta. «Dopo gli attentati mi sono sentita disorientata, spaventata e molto triste. È stato agghiacciante: sono stata in tutti i luoghi dove sono avvenuti gli attacchi ed è difficile accettare che sarebbe potuto capitare a me o ai miei cari”.
La reazione immediata di Sarah è stata quella di tornare a casa dalla sua famiglia, ma poi anche lei ha cambiato idea, perché interrompere la sua esperienza qui in Italia significherebbe lasciarsi sopraffare dalla paura: «Ho deciso di godermi il mio Erasmus e di stare vicina in modo diverso, qui a Milano, a tutte le vittime di Parigi. Per quanto piccola sarà la mia battaglia, voglio dimostrare il mio orgoglio francese e il mio disprezzo per quello che hanno fatto». Per Sarah è difficile dare un giudizio sulle decisioni prese da Hollande subito dopo gli attacchi, perché «stiamo combattendo una guerra contro un nemico invisibile, impersonato nello stesso tempo da tutti e da nessuno. È giusto che la sicurezza dei francesi sia una priorità per Hollande, ma secondo me è intervenuto troppo tardi».