Le ultime notizie cliniche risalgono a tre giorni fa: Aleksej Navalny, il principale oppositore politico del governo russo, presenta “tracce di avvelenamento”: parola dei medici dell’ospedale La Charitè di Berlino, dove è stato trasferito sabato scorso in eliambulanza dopo essersi sentito male in aereo. La questione è ovviamente divenuta tema diplomatico e internazionale, la polizia russa ha comunicato l’avvio di un ‘esame preliminare’: in attesa di maggiori dati e approfondimenti sul caso, abbiamo chiesto un parere sugli aspetti medici e tossicologici alla professoressa Sabina Strano Rossi, tossicologa forense, associato di Medicina legale all’Università Cattolica.
Professoressa, in base alle notizie disponibili, con quali sostanze è stato avvelenato Aleksej Navalny e com’è stato possibile stabilire una diagnosi? «Dalle notizie disponibili dalle agenzie di stampa sembra che Navalny sia in stato di intossicazione dovuto ad una non specificata sostanza con attività anticolinesterasica. Tali sostanze possono essere di origine naturale, come la fisostigmina, che ha un'attività reversibile, o sintetiche, come alcuni suoi analoghi, o alcuni insetticidi, o agenti nervini, che hanno un'attività irreversibile e producono pertanto un avvelenamento più difficile da trattare. La diagnosi è stata probabilmente fatta basandosi sulla sintomatologia clinica, che in genere è caratterizzata, almeno nelle prime fasi, da miosi (pupille a punta di spillo), salivazione e sudorazione profuse, rallentamento del battito cardiaco, ipotensione, ipossia, con possibili danni a carico di vari organi e del sistema nervoso centrale, convulsioni, fino a paralisi flaccida e morte».
Sappiamo che è stato trattato con un antidoto, l’atropina… «Sì, indicativa per la diagnosi è anche la risposta all'antidoto, ovvero l’atropina, che contrasta gli effetti degli anticolinesterasici. Allo stesso modo, in caso di avvelenamento da atropina, si somministrano farmaci anticolinesterasici quali antidoti. La diagnosi certa di quale sia stato l’agente, se c’è stato, che ha prodotto l’avvelenamento, verrà probabilmente fatta in un secondo momento, applicando criteri non più legati alla tossicologia clinica, il cui scopo primario è quello di curare il paziente e salvare una vita, ma alla tossicologia forense, ovvero l’identificazione certa dell’agente tossico con metodologie analitiche specifiche e sensibili, in grado di fornire un dato che abbia valore probatorio, e non più, quindi, in urgenza».
Che cosa sono e quanti sono i veleni? «I veleni possono essere, teoricamente, in numero infinito. Qualsiasi sostanza, anche la più innocua, se assunta in dosi elevate si può trasformare in veleno. Altre sostanze, invece, possiedono una loro elevata tossicità intrinseca e ne bastano piccolissime quantità per produrre effetti tossici. Molti dei farmaci che noi utilizziamo possono diventare veleni, se somministrati in dosi non adeguate. È pertanto importante non solo identificare la sostanza tossica, ma anche valutare se la sua concentrazione possa produrre effetti tossici/letali all'interno dell'organismo in generale e di quell’organismo in particolare».
Può farci un esempio di una sostanza terapeutica che, ad alte dosi, può essere tossica? «Un esempio classico che possiamo fare è quello della digitale, i cui principi attivi sono farmaci salvavita, ma che, se non ben dosati, possono produrre intossicazione e morte, anche in quantità molto basse, in quanto la differenza tra la dose efficace e la dose tossica è molto piccola. Si tratta di sostanze naturali, derivate da una pianta, ed è opportuno ricordare che naturale non vuol dire sicuro, anzi molti tra i più potenti veleni sono di origine naturale: basti pensare alla cicuta (in uso dagli antichi greci per eseguire le pene capitali), o a sostanze estremamente velenose come l’aconitina, la colchicina, l’atropina o l’oleandrina che, come i digitalici, sono contenute in piante molto diffuse anche nel nostro Paese, la stessa fisostigmina o molti funghi che contengono sostanze estremamente tossiche, in alcuni casi mortali. Esistono poi tutte le sostanze sintetiche, tra cui farmaci, gli antiparassitari, gli agenti nervini, o sostanze inorganiche come l’arsenico».
Queste ultime sostanze sono altamente pericolose: come possono essere scoperte e analizzate in un organismo umano? «L’identificazione della maggior parte di esse nei casi di avvelenamento è ormai possibile grazie alle tecniche analitiche a disposizione, sempre più specifiche e sensibili, in grado di rilevare anche piccolissime tracce di sostanze e/o loro metaboliti. Talvolta però qualcosa sfugge, e si parla di “avvelenamento senza veleno”. Ciò accade o perché il tossico è già stato eliminato, o perché non rilevabile con le metodiche utilizzate, o perché attivo in dosi non identificabili, o perché è stato metabolizzato in qualcosa di sconosciuto o è tornato nei range fisiologici, nel caso di alcune specifiche sostanze presenti anche nel nostro organismo, e quindi difficilmente distinguibili da quelle esogene».
Come ci si difende da un avvelenamento? «Difendersi può essere difficile, se si tratta di avvelenamento doloso, in cui possono essere messi in atto accorgimenti per evitare che la vittima sia consapevole di essere in pericolo, mentre è opportuno attenersi sempre alle prescrizioni nel caso dell’utilizzo di qualsiasi farmaco, prestare molta attenzione alla raccolta e utilizzo di funghi, o anche alla manipolazione ed ingestione accidentale, specie da parte dei bambini, di piante, fiori, semi, bacche, lattice. In caso di dubbio, ovviamente, è opportuno rivolgersi tempestivamente ai centri antiveleno, al fine di approntare al più presto la terapia più idonea».