di Ludovica Monteleone *
Esiste un posto in Tanzania, lontano da Zanzibar e dai parchi nazionali dedicati ai safari, che si chiama Moita. È un villaggio di capanne in fango e arbusti, con qualche casa in cemento, in cui vivono una trentina di bambini e le donne più forti che abbia mai conosciuto. Siamo a qualche ora di distanza dal distretto di Monduli e dalla città di Arusha. Un’area del nord della Tanzania quasi interamente popolata da tribù Masai.
Per una donna vivere in una tribù Masai non è per niente facile. In queste tribù, per tradizione fortemente patriarcali, l’uomo è il capofamiglia e a lui spettano le decisioni e la gestione dell’economia della casa. Generalmente i loro guadagni sono spesi per soddisfare i loro bisogni e niente di quello che hanno viene messo a disposizione delle mogli o dei figli. Le donne sono incaricate di ogni mansione: curano la casa, pensano alla cucina, accudiscono i bambini, raccolgono l’acqua al lago; i ragazzi pensano al pascolo e gli uomini restano a casa senza fare niente.
A volte le bambine sono costrette a sposarsi a soli 8 anni e solo andando a scuola possono evitare il matrimonio, ma se i capifamiglia decidono di non pagare le tasse scolastiche, le donazioni restano l'unica possibilità che le bambine hanno di fuggire a queste costrizioni.
Il progetto che abbiamo seguito insieme a Green Lion, in Tanzania, ha l’obiettivo di garantire alle donne una maggiore autonomia economica attraverso le loro attività quotidiane. L’Ushonaji wa shanga o beadworking (la creazione a mano di gioielli con le perline) è una delle attività principali delle donne Masai. Le impegna dalle 13 fino al tardo pomeriggio. Nel villaggio di Moita i volontari affiancano le donne nel loro lavoro, che verrà pubblicizzato tramite diversi canali social con lo scopo di essere commercializzato in Africa e, auspicabilmente, nel resto del mondo. Con il ricavato le donne potranno pagare autonomamente le tasse per la scuola dei figli e qualsiasi altra necessità possa sopraggiungere.
Anche noi abbiamo lavorato con loro. I Masai non parlano né swahili né inglese, ma una lingua tribale e, per questo, avevamo un’interprete che ci ha seguito ogni giorno. Nonostante le barriere linguistiche abbiamo condiviso e riso tantissimo. Alla fine della prima giornata la nostra interprete, nonché responsabile, ci ha detto che avevano preparato una sorpresa per noi. Ci hanno regalato una collana realizzata da loro, dopo aver cantato e ballato per noi, ringraziandoci della giornata. Non si può descrivere l’emozione. Le donne più forti che abbia mai conosciuto.
Un’altra delle attività che impegnano le donne Masai ogni giorno è la raccolta della legna per il fuoco. Siamo andate con loro in dei campi poco lontani dal villaggio di Moita. Erano le 13 e il sole era fortissimo. Hanno tagliato, pulito e raccolto tantissimi rami che poi hanno riportato al villaggio da sole.
Nelle tribù masai vige la poligamia. Un uomo può arrivare ad avere 40 mogli e 400 figli. Le donne non possono scegliere chi sposare: è la famiglia che presenta loro il futuro marito. Il matrimonio si celebra in genere tra i 12 e i 15 anni. Negli ultimi anni, con la diffusione e la promozione dell’istruzione anche nei villaggi, questa usanza sta diminuendo, ma sono ancora tantissime le donne che non andando a scuola e non istruendosi non possono allontanarsi dal nucleo famigliare e decidere di cambiare stile di vita.
Dopo 25 giorni è arrivato il momento di lasciare definitivamente Moita. Sapevamo che dovevamo aspettarci qualcosa di speciale. Ci hanno abituate così “le nostre ragazze”. E infatti è stato emozionante e coinvolgente come ogni volta. Quello che non ci aspettavamo è che loro piangessero insieme a noi. Sono state tre settimane intense a Moita, dalla mattina alla sera fianco a fianco di donne vere, pure, forti e coraggiose come poche.
Ci siamo affezionate a loro, ai loro bimbi, al loro stile di vita. Eravamo parte di una grandissima famiglia in cui ciò che conta è solo quanto bene si dà e si riceve. E noi ne abbiamo ricevuto sicuramente più di quanto mai avremmo potuto darne. Sono infinitamente grata a loro, a questa esperienza, alle mie compagne di viaggio per averla condivisa e vissuta con me, all’Africa per avermi cambiato la vita e per avermi emozionata più di quanto potessi immaginare.
* 23 anni, di Reggio Calabria, studentessa del corso di laurea magistrale in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano