Di Damiano Palano *
Sembrava che la Germania dovesse rimanere indenne dalle tensioni che dal 2011 hanno investito quasi tutti i sistemi politici europei. Dopo una campagna che molti hanno definito “noiosa”, le urne hanno invece consegnato il quadro di un terremoto elettorale, che modifica in misura significativa gli assetti consolidatisi nei quasi settant’anni di storia della Repubblica Federale. Cdu e Csu hanno confermato la loro centralità e Angela Merkel è uscita vincitrice per la quarta volta consecutiva dalla competizione elettorale. Ciò nonostante la composizione del nuovo Bundestag segna una discontinuità notevole, non solo perché la consistenza dei due grandi partiti (Spd e Cdu/Csu) appare sensibilmente ridotta rispetto al passato, ma anche perché il numero dei partiti presenti (ormai salito a 6) modificherà gli equilibri e le dinamiche.
Per effetto di questi risultati, formare una coalizione diventerà naturalmente molto complicato. Il leader della Spd ha dichiarato, appena aperte le urne, che l’esperienza della “Große Koalition” è giunta al capolinea. E si tratta di una linea comprensibile, dal momento che i socialdemocratici hanno pagato duramente la partecipazione al governo guidato da Angela Merkel, scendendo al minimo storico dal 1949. Ma le opzioni alternative restano comunque tutte da inventare e tutt’altro che scontate. La coalizione “Giamaica” che vedrebbe insieme Cdu/Csu, Verdi e liberali rimane infatti solo un’ipotesi. Le posizioni delle tre formazioni su molte questioni cruciali (le politiche europee e la gestione dei flussi di migranti) sono infatti molto distanti, e non è dunque affatto scontato che i partner possano trovare davvero un accordo (e soprattutto che lo possano trovare in tempi brevi).
Lo spettro dell’ingovernabilità – che per i tedeschi fa riaffiorare come un incubo il ricordo della Repubblica di Weimar – potrebbe dunque tornare aleggiare nei prossimi mesi su Berlino. E, per senso di responsabilità, la Spd potrebbe anche tornare sulle proprie posizioni e riconsiderare l’opzione della grande coalizione. Ma naturalmente anche la Cdu, a dispetto della vittoria, non può trascurare il calo di consensi certificato dalle urne, e probabilmente all’interno del partito i critici della linea adottata da Frau Merkel si faranno sentire più energicamente, per richiedere un cambio di rotta soprattutto a proposito della gestione dei profughi (in cui molti individuano il motivo principale dello spostamento di una parte dell’elettorato verso liberali e Afd).
Al di là delle previsioni sulla composizione della maggioranza di governo, sono probabilmente due le tendenze principali che emergono dalla consultazione elettorale tedesca. Il primo riguarda l’erosione dei partiti tradizionali, che è ancora più rilevante in un paese come la Germania, in cui i grandi partiti di massa hanno a lungo dimostrato una notevole capacità di resistere ai mutamenti sociali e politici. Non si tratta solo di una tendenza innescata dalla crisi economica o dai flussi migratori. A partire dagli anni Novanta il numero di elettori fluttuanti anche in Germania è progressivamente cresciuto, mentre è contestualmente aumentato il numero dei partiti che riescono a superare la soglia di sbarramento. Se ancora nel 1998 i due partici storici, Cdu/Csu e Spd, si spartivano più del 75% dei suffragi, oggi quella percentuale si è infatti ridotta a poco più del 50%. Di questo mutamento è vittima soprattutto il partito socialdemocratico, le cui difficoltà sembrano d’altronde riflettere una dinamica più generale, che vede in tutto il Vecchio continente i partiti storici della sinistra fortemente ridimensionati (a vantaggio di nuove formazioni di sinistra radicale o di partiti “populisti” ed “euroscettici”).
Una seconda tendenza è rappresentata invece dallo sgretolamento del “centro” e dalla spinta alla polarizzazione. In altre parole, gli elettori sembrano guardare sempre meno alle forze che occupano il centro dello spettro politico e tendono invece a spostarsi verso le ali estreme. Naturalmente il successo ottenuto da Afd, se certo conferma la tendenza alla polarizzazione, può apparire modesto rispetto alle percentuali ottenute in Italia dal Movimento 5 Stelle, in Spagna da Podemos e in Francia da Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Ma la tradizionale stabilità del quadro politico tedesco e la storia della Germania rendono questo risultato addirittura eclatante. Anche perché il sistema elettorale tedesco (a differenza di quello francese), che per molti decenni ha contenuto grazie alla clausola di sbarramento la moltiplicazione dei partiti, oggi potrebbe contribuire a rafforzare proprio la polarizzazione e le spinte centrifughe.
È probabilmente presto per dire se la tendenza alla “scomparsa” del centro (o comunque a un suo ridimensionamento) sia solo un dato congiunturale o invece qualcosa di più. Ma gli appuntamenti elettorali dell’ultimo anno devono indurci a prendere sul serio l’ipotesi secondo cui nei prossimi anni la polarizzazione è destinata a crescere. Non solo, probabilmente, per gli effetti della crisi economica, per il risentimento che pare covare nelle classi medie occidentali e per la percezione di insicurezza che sembra dominare l’opinione pubblica delle democrazie mature. Ma anche per le caratteristiche del nuovo contesto comunicativo in cui operano gli attori politici.
Il fatto che oggi molti cittadini traggano le loro informazioni da un medium ‘personalizzato’ come internet, e non più da un mezzo generalista come la tv, è infatti probabilmente destinato a favorire proprio la crescente polarizzazione dell’elettorato. Gli elettori di domani (ma forse lo sono già oggi) non saranno più il “pubblico” relativamente compatto e omogeneo del medesimo spettacolo politico, ma potrebbero piuttosto frammentarsi in una miriade di segmenti autoreferenziali e sempre più ‘polarizzati’. E proprio questo nuovo contesto potrebbe aprire nuovi spazi di manovra alle forze politiche che si presentano come “sfidanti” della classe politica e dell’establishment.
* Ordinario di Scienza politica nella facoltà di Scienze politiche e sociali