Sono trascorsi dieci anni dalla laurea in fisica ottenuta in Università Cattolica da Anna Lombardi, 32 anni, bresciana ora residente a Londra dove lavora come data journalist al Times. Un approdo inusuale, forse, per una ricercatrice di nanoparticelle per sei anni impegnata nei laboratori di Lione e di Cambridge, anche se rifiuta di considerarsi un cervello in fuga: «Ho avuto delle opportunità, non sono mai dovuta andarmene per forza».
Dopo molti anni passati in laboratorio, si è appassionata alla comunicazione scientifica, ha frequentato un master biennale apposito e subito dopo ha mandato un primo curriculum al Times di Londra che subito l’ha assunta nella redazione di data journalism, un settore in forte sviluppo in Gran Bretagna. «Raccolgo dati, li elaboro, li trasformo in notizie e grafiche utili per i lettori. Molte storie sono basate su fatti complessi e la capacità di renderli fruibili è il mio lavoro, soprattutto ora con l’emergenza Coronavirus che anche qui ha colpito forte. E in questo mi viene in aiuto la mia formazione in fisica che mi ha insegnato il rigore scientifico, la curiosità, il farsi sempre domande e non fermarsi mai alla prima risposta».
Come è cambiato il tuo lavoro con la pandemia che si è diffusa ampiamente anche in Gran Bretagna? «Lavoro da casa da quasi due mesi e non si sa quando potrò tornare in ufficio. Di coronavirus mi occupo quotidianamente, è diventato il tema all'ordine del giorno, quotidianamente. Come Data and digital storytelling Team al Times di Londra ci occupiamo di raccogliere e visualizzare tutti i dati legati all'evoluzione del virus a livello nazionale e globale ma anche di cercare all'interno dei dati nuovi punti di vista e nuove storie per raccontare questa pandemia. Cerchiamo di andare al di là del semplice numero di nuovi contagi o di decessi, analizzando come il virus stia influenzando l'economia, la società, l'ambiente: dall'effetto sul traffico alle sfide per chi lavora in ospedale, dal miglioramento della qualità dell'aria con il lockdown alla vita nelle zone più remote del Paese che non sono ancora state raggiunte dal virus, dagli studi scientifici per la ricerca di un vaccino all'andamento della disoccupazione».
Come è stato affrontato lì il Coronavirus? «Nel Regno Unito non è stato applicato un lockdown cosi rigido come in Italia, si può uscire un'ora al giorno per fare esercizio fisico, oltre che per fare la spesa e non servono autocertificazioni. Il governo si è sempre appellato esclusivamente al “buon senso” e al senso civico degli inglesi. Una decisione discutibile i cui effetti, credo, si vedranno con il tempo. Proprio oggi fonti ufficiali hanno dichiarato che il numero dei decessi in UK ha superato quello (già peraltro altissimo) dell'Italia. Quello che sembra certo al momento è che tutto questo non finirà con la primavera».
Anna è assunta a tempo indeterminato, lavora a pochi passi dal London Bridge, praticamente attaccata allo Shard di Renzo Piano, fa la pendolare, va avanti e indietro da Reading, ma il suo sogno è quello di poter tornare in Italia per dare un contributo al suo Paese.