La richiede l’articolo 76 del decreto Cura Italia. È la task force di esperti che il governo nominerà a breve per scegliere le soluzioni tecnologiche adeguate per il monitoraggio e la tracciabilità dei movimenti dei cittadini in questo tempo di emergenza finalizzati al contenimento dei contagi. La questione apre però il delicato fronte della privacy. La ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha già dichiarato di non propendere per l’obbligatorietà di questa misura ma potrebbe essere necessario adottarla per esigenze prioritarie relative alla salute pubblica.
Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione in Università Cattolica, pur condividendo la possibilità di fare uso di un’apposita app per individuare le aree di maggior contagio, manifesta la necessità dell’emanazione di una legge ordinaria o di un decreto legge.
Professore cosa sono le app anti contagio? «Le app anti contagio servono per ricostruire il percorso degli utenti. Sono applicazioni in grado di tracciare i loro spostamenti, di segnalare i luoghi frequentati da chi è stato contagiato e di risalire alle persone con le quali è venuto in contatto».
Cosa pensa dell’eventuale obbligatorietà dell’installazione? «L'efficacia di questa soluzione, già adottata in Corea e, in forme diverse, anche in Israele, è legata alla capillarità delle installazioni, al fine di ricavare il maggior numero di informazioni sulla catena del contagio. Se non sarà obbligatoria bisognerà capire nei dettagli come funzionerebbe una app installata solo sugli apparecchi di alcuni utenti e non di tutti».
In caso di obbligatorietà non sarebbe un caso di violazione della privacy? «Le leggi europee prevedono deroghe alla tutela della privacy a fronte di minacce concrete alla salute. Già la Regione Lombardia nei giorni scorsi ha utilizzato le informazioni sulle celle telefoniche, messe a disposizione da alcuni gestori di telefonia mobile, al fine di ricostruire gli spostamenti dei cittadini. E lo ha fatto lecitamente, in modo aggregato e anonimo, quindi senza rischi per la privacy delle persone. Nel caso delle app anti contagio il monitoraggio sarebbe più invasivo, quindi il rischio di una sorveglianza di massa c'è e occorrerà prevedere alcune cautele».
Quali? «Anzitutto un passaggio legislativo, quindi evitare che una decisione del genere venga presa a cuor leggero con una semplice ordinanza della Protezione civile, senza il coinvolgimento del Parlamento. Considerata l'urgenza, andrebbe bene anche un decreto legge, a patto che il governo investa fin da subito della questione il Parlamento, visto che sono in gioco le libertà di tutti i cittadini».
Altre cautele da osservare? «Nella legge dovranno essere precisate le modalità di raccolta dei nostri dati sensibili e l'utilizzo che ne verrà fatto e che dovrà essere rispettoso dei principi di proporzionalità e necessità previsti dalle normative vigenti. Questi dati dovranno servire esclusivamente per il monitoraggio finalizzato al controllo del virus e quindi alla protezione della nostra salute. L'eventuale coinvolgimento dei colossi del web non dovrà comportare utilizzi impropri dei nostri dati da parte loro. Inoltre, tutto dovrà avvenire sotto la stretta vigilanza dell'Autorità garante della privacy, preservando il carattere pubblico nella gestione delle nostre informazioni. Infine, occorrerà verificare che questo monitoraggio attraverso le app cessi immediatamente dopo il superamento dell'emergenza Covid-19».
Quali sono i prossimi passi del governo in merito? «Il ministero dell'innovazione ha promosso tre giorni fa una call che si chiude oggi, coinvolgendo tutti i soggetti pubblici e privati, aziende, enti di ricerca e altri, al fine di individuare le soluzioni tecnologicamente migliori per introdurre le app. Un pool di esperti e consulenti del governo ne vaglierà l'affidabilità e consulterà il Garante della privacy per valutarne la praticabilità alla luce delle norme vigenti in materia di riservatezza».
Di quali strumenti dispone il cittadino per tutelarsi? «Il cittadino deve comunque stare sempre attento quando installa delle app sul suo cellulare. Quando gli viene richiesto un consenso deve valutare i rischi che corre cedendo ai gestori delle app il controllo sui propri dati. In questo caso bisognerà avere una maggiore tolleranza perché tutto è pensato per tutelare la nostra salute. Al termine dell'emergenza, però, bisognerà accertarsi che le app anti contagio siano effettivamente state disattivate e ciascun utente dovrà disinstallarle. Dal punto di vista strettamente giuridico, rimane sempre attivabile da parte di ogni singolo utente il ricorso giurisdizionale per violazione della privacy».
Quali sono le fonti ufficiali dove leggere i provvedimenti obbligatori presi dal governo per non incorrere in fake news? «In questa fase di vera e propria infodemia diventa ancora più difficile discernere le informazioni veritiere da quelle inattendibili. La battaglia contro le fake news la può combattere ciascuno di noi selezionando con più accuratezza le notizie che riceve ed evitando di condividerle se di dubbia autenticità. Le piattaforme web stanno comunque contribuendo a ripulire la Rete da marchiane fake news. Per quanto riguarda l'emergenza Covid-19, l'Istituto superiore di sanità e l'Organizzazione mondiale della sanità sono le fonti più autorevoli. I siti del Governo stanno pubblicando notizie ufficiali e verificate. Il problema è che la confusione nell'emanazione dei decreti, unita alle prolungate sovrapposizioni tra iniziative del governo nazionale e iniziative delle singole regioni, ha disorientato il cittadino, che non capisce più quali norme debbano essere rispettate».
L’Enac ha autorizzato l’uso dei droni per monitorare gli spostamenti dei cittadini in territorio comunale. Non è una violazione della privacy? «Qualche dubbio potrebbe sorgere. È evidente che in casi di emergenza come questo, quando è in gioco la salute collettiva, qualche deroga alla privacy possa esserci. L'importante è che non ci sia un utilizzo illegittimo dei dati acquisiti attraverso i droni, vale a dire delle foto e delle videoriprese che un drone potrebbe fare».