di Matteo Stefanelli *
Dopo ben 80 anni dalla creazione di Batman, oggetto di una mostra-show che termina in questi giorni al Museo della Scienza, non mancano mai i motivi per tornare a discutere di questa icona e del suo immaginario, fervido di simboli oscuri. La più recente ragione è la vittoria al festival del Cinema di Venezia del film Joker, che si è guadagnato - un po’ inaspettatamente - nientepopodimeno che il Leone d’Oro.
Serietà versus ironia, buio versus colore, verità versus menzogna, responsabilità versus follia: l’antagonismo tra Batman e Joker ruota intorno a questi nodi, da sempre. E il dato interessante è che Joker, in questa radicale e caricaturale allegoria di modi opposti di essere umani, è stimolante tanto quanto l’eroe Batman. Stessa struttura manichea di Sherlock Holmes vs. Moriarty (cui in parte si ispirarono i creatori) o Luke Skywalker vs. Darth Vader? Sì ma anche no, perché al cuore della sua malvagità c’è da quasi un secolo - la sua creazione è del 1940 - un mix che è insieme psicosociale e visuale, narrativo e artistico: la pazzia e il design ultrapop. Joker rappresenta infatti un curioso, probabilmente unico paradosso: può la più cinica e disumana crudeltà avere l’aspetto di una sfrontata e immaginifica allegria?
Joker non è solo un serial killer malato mentale. Sin dagli anni Quaranta Joker nasce per superare la visione moderna dei gangster larger-than-life, e va persino oltre quella postmoderna del criminale come intelligente, cool o geniale. Se Batman è ordine e razionalità, Joker è il caos, alla costante ricerca dello “spettacolo del male” fine a se stesso: può la malvagità stessa essere una vera festa? La risposta e sì, se a incarnare questa pulsione è una personalità sadica e schizoide dotata di una fisicità e di un look che sono invenzioni creative straordinarie, in grado di rendere il personaggio riconoscibile come pochi. O forse come nessun altro: Joker è probabilmente il più emblematico e iconico “cattivo” creato dalla fiction visiva nell’ultimo secolo.
Il film diretto da Todd Phillips beneficia della splendida, nevrotica interpretazione di Joaquin Phoenix, per il quale il ruolo è già considerato da molti critici il vertice della carriera. Più o meno le stesse parole usate per descrivere le interpretazioni del Joker date da Heath Ledger nel 2008 e da Jack Nicholson nel 1989. Il talento di questi attori camaleontici e “instabili” si è ritrovato a vestire bene l’abito grafico del character co-ideato da Bob Kane, Jerry Robinson e Bill Finger nel fumetto DC Comics: ghigno malvagio, ovvero un riso sardonico coronato da labbra truccate; capelli arruffati di un verde brillante; pelle bianco latte; abito viola.
IT di Stephen King, con il suo avere sdoganato nell’immaginario pop la crudele pazzia dei clown, è arrivato non solo dopo l’invenzione di Joker, ma ha lavorato privo dell’ingrediente di maggiore profondità in questa forma di terrore: la dinamica oppositiva tipica del mondo di Gotham City. Più di ogni altro concept di supereroi, il successo di Batman ha infatti al centro non solo l’eroe protagonista, ma il suo eterno confronto con l’avversario per eccellenza.
A differenza del Dottor Destino per i Fantastici Quattro o Lex Luthor per Superman, Joker è stato non solo più ricorrente fin da subito, ma è anche quello più simbiotico per l’eroe: la sfida tra loro, in particolare dagli anni Ottanta - dopo la radicalizzazione dark operata dal fumettista Frank Miller - è quella tra due profili psicologici ed emotivi opposti perché in qualche misura uguali, spinti entrambi da un lutto in famiglia. Come yin e yang le due figure sono inscindibili: Joker non ambisce a denaro o potere, agisce quasi solo per affrontare Batman. E Batman, pur piagato nei suoi più cari affetti da Joker - che negli anni ha ucciso Robin (Jason Todd) e paralizzato Batgirl (Barbara Gordon) - sente di non poterlo uccidere, pena la fine della propria missione di giustiziere che rifiuta l’omicidio come strumento di vendetta.
In ottanta anni di idee narrative, proposte dai tanti autori che ne hanno elaborato le gesta, la complicata, prismatica relazione Batman/Joker ha toccato il suo culmine in The Killing Joke (graphic novel di Alan Moore e Brian Bolland, 1988) e in Arkham Asylum (di Grant Morrison e Dave McKean, 1989), opere che colpiscono ancora oggi per la capacità di trasmettere il vortice della sfida psichica e ideale tra i due, come riflessi l’uno nell’ossessione per l’altro.
Il film di Todd Phillips ha fatto tesoro di questa tradizione fumettistica e poi cinematografica (con Batman il cavaliere oscuro) e sottolineato le condizioni di emarginazione sociale all’origine della follia di Joker, inserendosi alla perfezione nel clima di rilettura sociologica della figura del supereroe che attraversa i titoli hollywoodiani dedicati negli ultimi anni a questo genere. E lo ha fatto seguendo una visione politica, venata di un umanesimo disilluso e, in fondo, dolente. Ma non è che una piccola tappa, all’interno del percorso ormai quasi secolare di questo personaggio. Immaginare che altre letture e interpretazioni stimolanti arriveranno, è nelle cose, quando si parla della persistenza e insieme della mutevolezza in cui vivono le figure centrali del nostro immaginario.
* docente di Linguaggi audiovisivi (Comes) all’Università Cattolica, campus di Milano, direttore artistico del festival Comicon e fondatore del sito Fumettologica.it