La richiesta di restituzione di beni culturali sottratti o esportati illecitamente crea una serie di controversie. Basti pensare ai beni depredati dai nazisti o dalle potenze europee nel periodo dell’occupazione coloniale e agli oggetti recuperati illecitamente dai “tombaroli”. Entrano in gioco, infatti, aspetti che intersecano la normativa sostanziale e procedurale tra ordinamenti nazionali e sovranazionali, possibili conflitti di giurisdizione, l’inapplicabilità di strumenti internazionali di cooperazione, le difficoltà probatorie legate al decorso di lunghi periodi di tempo tra la sottrazione e la “riemersione” del bene nel contesto di un passato di conflitti bellici o di dominazioni coloniali, con risvolti politici, sociali e giuridici di notevole complessità.
Una soluzione a tali conflitti può essere offerta dalla “dispute resolution” che implica, da un lato, il ricorso a modelli di mediazione e negoziazione adattati alla specificità ‘culturale’ del bene conteso, dall’altro, l’apertura a prospettive di natura riparativa, in grado di “rendere giustizia” ai conflitti storici e identitari sottesi alle richieste di rimpatrio di tali beni.
Su questi temi l’Alta Scuola Federico Stella sulla Giustizia Penale ha organizzato il 10 luglio un seminario di studio, che si è aperto con il saluto del professor Francesco D’Alessandro, in veste di coordinatore del corso in laurea in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo, nell’ambito del quale la soluzione a tali problematiche rientra tra le competenze acquisite dagli studenti.
Ha introdotto e moderato gli interventi Arianna Visconti, ricercatrice di Diritto penale e docente di Law & the Arts. In via preliminare ha rilevato che la tutela dei beni culturali è cresciuta, anche grazie e una più adeguata normativa, dato che il disvalore del traffico illecito di beni culturali nella coscienza sociale è equiparato a quello delle armi e della droga.
È evidente però che i beni culturali rappresentano una tipologia particolare nell’ambito dei beni patrimoniali in quanto rappresentano un valore di testimonianza di civiltà e hanno un valore simbolico, identitario, di memoria storica: di qui l’importanza della loro conservazione e recupero. Di particolare rilievo è l’attività svolta dai carabinieri per il recupero di tali beni, prima ancora dell’azione penale verso i soggetti autori di illeciti.
Sulla prospettiva negoziale nell’ambito della tutela di tali beni e della risoluzione delle controversie si è soffermato Alessandro Chechi, ricercatore di Diritto del patrimonio culturale presso l’Université de Genève e docente di Diritto internazionale pubblico presso l’Université Catholique de Lille. Lo studioso svizzero ha illustrato – alla luce di casi concreti – l’ampia normativa del settore e le molteplici soluzioni giuridiche attuate per giungere a una definizione delle questioni restitutive quali il prestito temporaneo, la mediazione, la conciliazione, l’arbitrato. Le difficoltà nascono anche dal fatto che, in casi di lungo periodo di tempo tra la sottrazione e la richiesta di restituzione, si crea un legame culturale tra il bene precedentemente sottratto e il luogo che lo ospita, per cui la soluzione non consiste sempre nella restituzione ma in altre forme quali la dazione di una copia, la formulazione di scuse, la definizione di intese di collaborazione. Pertanto l’enfasi posta sulla restituzione dei beni risulta riduttiva quando di mezzo ci sono motivi politici, non necessariamente legati a istanze culturali.
Il tema della giustizia riparativa nell’ambito della restituzione dei beni culturali è stato affrontato da Claudia Mazzucato, che in Cattolica insegna questa disciplina. In particolare, si è soffermata sul modello circolare della giustizia riparativa in cui la soluzione non è data da un provvedimento dell’autorità ma si ottiene tramite il consenso e la comune partecipazione delle parti. In tal senso la giustizia riparativa aiuta a dare risposte ai conflitti, quando l’oggetto del contendere non è divisibile: «Non si può dare a ciascuno il suo quando il suo dell’uno è anche dell’altro».