«Nella vita vale la pena fare quelle cose per cui, se non riuscissi a farle, avresti un rimpianto per tutta la vita». Questa è la motivazione che ha spinto Mario Calabresi a scrivere il suo ultimo libro La mattina dopo andando a trovare tutte le persone che erano “in lista d’attesa” mentre lui era immerso ventiquattr’ore su ventiquattro nel flusso di notizie del giornale.
Una presentazione del libro originale, pensata come dialogo, in un’aula gremita di studenti con Eugenia Scabini, professore emerito di Psicologia sociale della famiglia, e introdotto dalla psicologa Sara Pelucchi.
In questo fugace scambio di ruoli - la psicologa intervistatrice e il giornalista intervistato - «si sono rivelate due persone che sanno cogliere l’essenziale, gli aspetti cruciali dell’esperienza umana», ha sottolineato presentandoli Camillo Regalia, direttore del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia.
Da questo viaggio cosa si è “portato a casa” Mario Calabresi, come diceva sempre la sua nonna? Alla domanda di Eugenia Scabini il giornalista risponde raccontando storie e aneddoti a partire dalla sua esperienza familiare, raccolti subito dopo aver lasciato Repubblica a febbraio 2019, per arrivare al vissuto di persone incontrate in modo inaspettato.
Cosa succede dunque “la mattina dopo” la perdita di un genitore, o di un figlio, o di un lavoro, o di un incidente? Ognuno ha la sua storia. «Come il postino di Forlì - ha raccontato Calabresi - che non ne poteva più di andare in giro in bicicletta con la pioggia, la neve, l’afa e le zanzare, e quando è andato in pensione, la mattina dopo, non sapendo cosa fare, ha preso la bici e ha rifatto il giro».
O come Daniela “la garagista” «con un’energia incredibile che si capisce non sappia dove mettere», che all’attivo ha un danno irreversibile alla colonna vertebrale, tanti amici e una gran voglia di vivere.
O ancora come il nonno di Calabresi, Carlo, che ha preferito farsi licenziare e ricominciare da capo piuttosto che prendere la tessera del fascismo.
Insomma ogni dramma, ogni inciampo può essere un’opportunità. Lo dice Leonard Cohen che Calabresi cita nelle prime pagine del libro: “In ogni cosa c’è una crepa ed è da lì che passa la luce”.
La trama è un fil rouge che unisce tutti i protagonisti, quel viaggio intergenerazionale - ha specificato la professoressa Scabini - fortemente voluto dalla nonna di Mario perché lui potesse “portare a casa” ciò che nella sua famiglia era rimasto in sospeso (la vigna del Bricco delle Ciliegie, le pergamene del nonno…) e potesse a sua volta trasmettere vissuti e ricordi alle sue figlie. Un viaggio che solo la cura e la vicinanza delle persone care rende possibile.
«Quando l’identità è minacciata da una rottura riannodare i fili familiari dà il senso della storia» - ha detto la psicologa - e «quando pensi di non avere più un futuro, quello è il momento in cui riscoprire il passato» - ha fatto eco Calabresi.
Così, le storie di due persone che non si conoscevano si sono intrecciate in un’ora di dialogo serrato e intenso, in cammino perché “la via si fa andando. Andando si fa la via, e nel guardare indietro si vede la strada che mai si tornerà a rifare”, come recitano i versi di Antonio Machado che aprono La mattina dopo.