“Per tutte le volte che mi hanno preso in giro per il mio naso, per tutte le volte che mi hanno detto che sono un nano, per tutte le volte che…”. È l’incipit di un video che invita gli adolescenti a liberarsi dai commenti negativi su di loro, circolanti online, e chiama altri ragazzi a fare la stessa cosa.
Si tratta di un progetto sul cyberbullismo, intitolato “Crushing Pandora”, ideato da un gruppo di undici studenti della laurea magistrale in Gestione dei contenuti digitali per i media le imprese e i patrimoni culturali (Ge.Co) della sede di Brescia dell’Università Cattolica, coordinato dal professor Matteo Tarantino.
Per comunicare il progetto il team di universitari ha attivato un canale Facebook e uno Instagram. L’obiettivo è quello di sensibilizzare in particolare gli adolescenti e spronarli ad aprirsi e parlare delle loro esperienze in merito partecipando a una challenge, ossia una “sfida” a catena in cui ogni partecipante nomina altri partecipanti.
Il simbolo della campagna è il vaso di Pandora che, nella mitologia greca, è il leggendario contenitore di tutti i mali. Nel mito l’azione di “scoperchiare” il vaso ha un effetto negativo, quello appunto di riversare tutti i mali nel mondo. Crushing Pandora ribalta questa immagine trasformando l’apertura del vaso in un’azione positiva e liberatoria. Questo oggetto, inoltre, è stato scelto perché incarna metaforicamente un simbolo di fragilità.
Crushing Pandora è una campagna di comunicazione sviluppata sui social con il fine di ridurre i commenti d’odio nello stesso network. Lo strumento prescelto è stato quello della challenge, delimitato da regole precise che costituiscono un vero e proprio format. Con un breve video i partecipanti dovranno pronunciare la frase “Per tutte le volte che...” e completarla raccontando un breve episodio di stigmatizzazione subita. Poi dovranno rompere un oggetto qualsiasi per “liberarsi” dal loro dolore e infine, come è consuetudine nelle challenge, dovranno nominare tre loro conoscenti invitandoli a fare lo stesso.
La condivisione pubblica di esperienza conferisce un volto e un corpo al disagio che ci è stato inflitto e che infliggiamo agli altri; l’atto catartico della rottura dell’oggetto (da operarsi ovviamente in condizioni di sicurezza) simboleggia la volontà di rompere il ciclo della propria vittimizzazione. In questo modo, il progetto intende da un lato dare forza alle vittime e dall’altro stimolare negli stigmatizzatori una maggiore consapevolezza del dolore provocato.
«Abbiamo scelto questo format per riuscire a parlare ai giovani» racconta Federica Zanotti, team leader del progetto. «Il nostro target sono gli adolescenti che sono i principali protagonisti di questo fenomeno. Non sottovalutate i benefici derivanti da questo gesto» conclude la responsabile invitando adolescenti e non a partecipare alla challenge. «Noi ideatori in primis l’abbiamo testato. Provare per credere».