di Luca Peyron *
Negli Stati Uniti qualcosa è cambiato, forse per sempre. Un rapporto di 449 pagine della sottocommissione Antitrust della Camera americana è potenzialmente destinato a mutare radicalmente il rapporto con la tecnologia in tutto il pianeta. Il Cicilline Report - dal nome del deputato americano David Cicilline che ha presieduto la commissione - fa tremare i polsi alle grandi compagnie tecnologiche. Amazon, Google, Apple, Facebook non saranno, forse più come prima.
In estrema sintesi il rapporto dice in numeri e lettere quello che tutti sappiamo e che tutti sapevano: la posizione dominante di queste imprese è intollerabile dal punto di vista delle norme sui monopoli e più in generale dalle norme, scritte e non scritte, che regolano i mercati mondiali e la concorrenza. Stiamo parlando di compagnie che hanno cinquemila miliardi di dollari di capitalizzazione in Borsa, la somma del Pil di diverse nazioni.
Molti i passaggi forti e le testimonianze raccolte ove si legge: “Una prevalenza di paura tra gli attori di mercato che dipendono dalle piattaforme dominanti, molti dei quali hanno espresso il disagio che il successo della loro attività e il loro sostentamento economico dipendono da ciò che consideravano un potere arbitrario e inspiegabile delle piattaforme”.
Di per sé il rapporto non ha valore di legge, e non tutti i deputati e senatori lo hanno sottoscritto. Ovviamente protestano le Big Tech, ma il dato culturale resta e il messaggio è forte. Il testo rappresenta un passaggio storico dentro e soprattutto fuori i confini americani poiché in qualche modo legittima anche le altre nazioni a intervenire sapendo di poter essere allineati alla casa madre delle Big Tech.
Perché accade oggi quanto sarebbe potuto accadere anni fa quando le evidenze odierne erano già sotto gli occhi di tutti? La riposta è scritta nella costituzione americana, nelle prime parole: We, the people. È avvenuto un processo culturale diffuso che ha spinto la politica a schierarsi diversamente rispetto al passato. C’è in gioco la fiducia che ciascuno di noi ripone nella democrazia e nei processi culturali. La tecnologia e i suoi epigoni ci hanno in parte relegato al rango di spettatori muti, di utenti bisognosi di beni a basso o nessun costo, disposti a chiudere ben più di un occhio.
La storia della Chiesa insegna che dodici persone, animate da un profondo convincimento, hanno cambiato la storia del mondo. Da credente so che questo processo è stato accompagnato da un aiuto dall’alto, ma l’analisi storica restituisce comunque l’evidenza che i processi anche complessi stanno nel cuore e nella volontà delle persone. La conoscenza, le decisioni di ordine morale, la condivisione dei saperi e la ricerca del bene comune, nella trasformazione digitale, hanno molte più possibilità di avere impatti globali di quanto possiamo pensare. Come ha scritto papa Francesco nella sua ultima enciclica: “Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media”. David Cicilline ci dimostra che è vero, che è possibile e sta accadendo. A ciascuno fare in modo che continui a succedere.
* docente di Teologia alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, esperto di cultura digitale