Pubblichiamo l’incipit dell’editoriale del professor Vittorio Emanuele Parsi uscito su “Il Messaggero”
Battere Trump e il suo estremismo non opponendogli una piattaforma radicalmente “liberal”, ma attraverso l’uscita dalla radicalizzazione e dalla polarizzazione. È questa la scommessa di Bloomberg: una scommessa audace dall’esito tutt’altro che scontato. Perché possa concretizzarsi, Bloomberg dovrà innanzitutto vincere le primarie democratiche, strappandole probabilmente a Elizabeth Warren, una candidata su posizioni e di formazione decisamente più “radical” rispetto al tre volte sindaco di New York, peraltro transitato abbastanza recentemente dal Partito repubblicano a quello democratico.
La scelta di Bloomberg si basa sulla presunzione di dover eventualmente faticare un po’ di più nel conquistare il voto degli iscritti e dei militanti, ma di essere poi facilitato nel portare a sé una parte cospicua del voto meno pregiudizialmente schierato, tanto di orientamento democratico quanto di simpatie repubblicane. Bloomberg punta sulla preoccupazione di fasce crescenti dei ceti medi (oltre che delle élite) circa i danni permanenti che il populismo identitario del presidente sta arrecando a un sistema istituzionale da tempo sottoposto a torsioni.
In termini internazionali, ritiene che la politica “neo-jacksoniana” di Trump stia oggettivamente indebolendo quella rete di relazioni e alleanze – protetta e amplificata da innumerevoli istituzioni internazionali – che ha fornito agli Stati Uniti il vantaggio competitivo e fin qui esclusivo rispetto agli sfidanti: effettivi e potenziali.
Bloomberg si colloca nella lunga tradizione di leader che aspirano alla vittoria occupando il “centro” dello schieramento politico. Ma se la sua strategia si basasse solo su questo presupposto e sulla contrapposizione a Trump, temo non andrebbe molto lontano.
* docente di Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore dell’Alta Scuola in Economia e relazioni internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica