Mai come in questo periodo è attuale il coinvolgimento del paziente nel processo della cura. L’emergenza sanitaria collegata al diffondersi del virus Covid-19 e le recenti decisioni che pongono un limite all’affluenza negli ambulatori specialistici, sta influenzando la gestione dei pazienti: più il paziente riesce ad essere “engaged” e più si sente responsabile nella gestione della propria patologia e della terapia.
Migliorare l’esito delle cure per l’emofilia grazie al coinvolgimento dei pazienti, in team con i medici che se ne prendono cura: è questo il cuore di un nuovo progetto di ricerca dal nome “Parole in Emofilia: verso il Patient Engagement”, che sarà condotto presso il Centro di ricerca dell’Università Cattolica nel campus di Milano “EngageMinds HUB”, e supportato con un Grant non condizionante da Kedrion.
EngageMinds HUB è il primo Centro di Ricerca italiano multidisciplinare volto a promuovere e svolgere attività scientifiche - ispirate dai principi della psicologia dei consumi - relative al tema dell'engagement nelle condotte di salute (es. prevenzione primaria e secondaria, promozione della salute, gestione della cura).
Il progetto sarà condotto sotto la supervisione scientifica della professoressa Guendalina Graffigna, direttore del Centro di ricerca EngageMinds HUB. Il progetto si avvale di una cabina di regia multidisciplinare di esperti in emofilia composta dalla Dr.ssa Biasoli (membro del Direttivo AICE e Responsabile del Centro Emofilia Clinica Ospedale M. Bufalini), da Andrea Buzzi (Presidente della Fondazione Paracelso) e da Cristina Cassone (Presidente di FedEmo - Federazione delle Associazioni Emofilici).
«Il progetto è unico a livello internazionale perché si pone l’obiettivo di dare voce all’esperienza di malattia e di cura dei pazienti emofilici e di comprendere le condizioni che ne favoriscono la motivazione ad aderire alla terapia oltre che ne sostengono il coinvolgimento attivo (engagement) nel processo di cura», spiega la professoressa Graffigna, responsabile scientifico dello studio.
«I risultati della nostra ricerca non solo contribuiranno al miglioramento dell’esperienza di engagement dei pazienti, ma anche a sensibilizzare i clinici circa il vissuto di malattia dei loro pazienti ed offriranno spunti e strumenti concreti per migliorare le strategie di comunicazione medico-paziente», dichiara Serena Barello, ricercatore di EngageMinds HUB e leader del progetto.
«Il coinvolgimento attivo del paziente - dichiara la dottoressa Manuela Scarpellini, Medical Affairs Director Italy, EMEA, Russia &CIS di Kedrion - è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Per questo, Kedrion è orgogliosa di sostenere EngageMinds Hub in questo innovativo progetto, che permetterà all’Università Cattolica nel campus di Milano di raccogliere e di elaborare con strumenti scientifici il vissuto ed il percepito di paziente e medico, allo scopo di facilitare il reciproco dialogo».
«Questo progetto offre l'opportunità di indagare, attraverso la narrazione, gli aspetti più significativi e le eventuali problematiche di un rapporto tanto profondo e particolare come quello che si instaura tra un paziente emofilico e il proprio ematologo. Partendo da questa base, si può mirare a una migliore interazione tra le parti, al fine di rendere quanto più solida ed efficace possibile l'alleanza medico-paziente così rilevante in Emofilia», dichiara Cristina Cassone, presidente di FedEmo - Federazione delle Associazioni Emofilici
«Infatti - come ricorda Andrea Buzzi, pPresidente della Fondazione Paracelso - i pazienti sono la risorsa più inutilizzata del sistema sanitario, ma il loro coinvolgimento attivo migliora il risultato delle cure e il funzionamento del sistema assistenziale».
«Questo progetto è di massima importanza perché ci si propone di dare voce ai vissuti e all’esperienza degli ematologi impegnati nella cura del paziente con emofilia. Un fondamentale percorso di integrazione per garantire l’umanizzazione delle cure», afferma la dottoressa Biasoli, membro del Direttivo AICE e Responsabile del Centro Emofilia Clinica Ospedale M. Bufalini
La malattia. Circa una persona su mille, nel mondo, soffre di un qualche disturbo emorragico (caratterizzato da sanguinamenti anomali che possono essere il risultato di difetti del sistema di coagulazione del sangue), molti non vengono trattati adeguatamente o non sono trattati affatto per questo problema che può avere gravi conseguenze di salute. L’emofilia (il disturbo della coagulazione ereditario più diffuso) è una malattia rara di origine genetica che colpisce quasi esclusivamente i maschi. Solo in Italia – secondo dati della Federazione Mondiale Emofilia (World Federation of Hemophilia - WFH) - ne soffrono oltre 5.000 persone, mentre in Europa sono oltre 40.000 le persone affette da emofilia A e B (Report on the Annual Global Survey, October 2019, WFH). Se in un individuo sano la fuoriuscita di sangue si arresta rapidamente, chi è colpito da emofilia è soggetto a numerose emorragie in quanto è difettoso il processo di coagulazione del sangue, che comporta l’attivazione di numerose proteine del plasma in una sorta di reazione a catena. Due di queste proteine, prodotte nel fegato, il fattore VIII e il fattore IX, sono carenti o presentano un difetto funzionale nelle persone con emofilia. A causa di questo deficit gli emofilici sono facilmente soggetti ad emorragie esterne ed interne, più o meno gravi. Vi sono due i tipi di emofilia, A e B: la prima è la più comune ed è dovuta a una carenza del fattore VIII della coagulazione; si registra in 1 caso ogni 10.000 maschi; la “B”, spesso definita malattia di Christmas, è provocata dalla carenza del fattore IX della coagulazione. L’incidenza è di 1 caso ogni 30.000 maschi. L’emofilia A e l’emofilia B hanno sintomi praticamente identici e solo tramite gli esami di laboratorio, o conoscendo la storia familiare, il medico può differenziare questi due tipi di patologia. In entrambi i casi, la gravità della malattia viene determinata in base all’entità della carenza funzionale del fattore coagulante. Si parla di emofilia grave quando la percentuale di attività del fattore coagulante è inferiore all’1%, emofilia moderata quando la percentuale di attività è compresa tra 1 e 5%, emofilia lieve quando la percentuale di attività è compresa tra 5 e 40%.
Per diagnosticare l’emofilia, il primo passo è costituito dall’analisi del sangue: viene così misurato un parametro, il tempo di tromboplastina parziale (PTT) che risulta più lungo del normale. La conferma e la tipizzazione dell’emofilia (se di tipo A o B, se grave, moderata o lieve) vengono poi valutate in base al dosaggio delle proteine plasmatiche carenti (il fattore VIII o il fattore IX), metodica ora abbastanza diffusa nei laboratori di molti ospedali del territorio nazionale.
Come per altre malattie croniche, anche nel caso dell’emofilia, l’engagement del paziente è fondamentale: il malato, infatti, deve essere responsabilizzato ed aiutato a divenire un buon collaboratore del team di cura (tecnicamente “engaged”), e sensibilizzato rispetto ai propri diritti e doveri per il raggiungimento con successo degli obiettivi posti dal suo percorso sanitario.
In altri termini l’Engagement è quel fattore motivazionale e psicologico che garantisce alla persona la possibilità di partecipare in modo adeguato e funzionale al proprio percorso sanitario, nella piena collaborazione con i curanti. Diversi studi a livello internazionale hanno dimostrato, infatti, che ad alti livelli di engagement corrispondono alti livelli di aderenza terapeutica, migliori outcome clinici e migliore soddisfazione per la relazione di cura.
Il progetto. Il Centro di Ricerca EngageMinds HUB ha sviluppato strumenti scientifici per la valutazione e promozione dell’Engagement psicologico del paziente nel suo percorso di cura. Di qui l’idea di partire con un nuovo progetto di ricerca-intervento nell’ambito dell’Emofilia grazie ad un grant incondizionato di Kedrion. «Ipotizziamo di coinvolgere almeno 200 pazienti e circa 90ematologi nel progetto che durerà due anni», anticipa la professoressa Graffigna.
Lo studio prevede tre fasi di ricerca: un primo momento ispirato ai principi della medicina narrativa, volto a raccogliere storie e narrazioni dei pazienti con emofilia legate al vissuto della malattia e della terapia e alle aspettative di coinvolgimento attivo nella relazione con il clinico. Parallelamente si sonderà presso gli ematologi la loro esperienza di relazione e comunicazione con il paziente, per cogliere gli aspetti su cui essi si sentono efficaci e le aree di miglioramento e di bisogno non soddisfatto. La prima parte dello studio, dunque, sarà qualitativa e raccoglierà delle narrazioni tramite un form on line semi-strutturato.
Dopo la prima fase dello studio sarà organizzato un workshop dedicato a pazienti ed ematologi volto a favorire la sensibilizzazione reciproca tra questi due target e la formazione di migliori competenze comunicative e relazionali dei clinici. Inoltre i risultati dello studio aiuteranno a sensibilizzare e motivare i pazienti ad un migliore coinvolgimento nella terapia e a sostenere una migliore relazione empatica tra pazienti e medici. I risultati inoltre saranno la base per progettare ulteriori iniziative di formazione alla comunicazione con il paziente dedicate agli operatori sanitari. Durante la seconda annualità di progetto, inoltre, si procederà ad un monitoraggio dei livelli di patient engagement dei pazienti emofilici e dei livelli di work engagement (o viceversa di burnout) dei clinici al fine di sondarne eventuali correlazioni e trend nel tempo.
In queste fasi si utilizzeranno dei questionari strutturati, basati su indicatori validati scientificamente tra cui la Patient Health Engagement Scale (PHEs®), la prima scala scientifica che misura la predisposizione psicologica al patient engagement sviluppata e validata a livello internazionale dal centro EngageMinds HUB. Lo studio, sarà l'l’occasione per applicare gli strumenti validati da EngageMinds HUB e garantire misure rigorose e scientifiche del processo di patient engagement, parametro ritenuto sempre più vitale nei sistemi sanitari occidentali di oggi
«Si tratta di un progetto all’avanguardia – conclude la professoressa Graffigna – perché non solo permetterà di diagnosticare lo stato di engagement e di aderenza dei pazienti emofilici italiani, ma offrirà anche ai curanti strumenti relazionali e comunicativi concreti al fine di supportarli nella promozione dell’aderenza dei loro pazienti nel tempo».
Le attività di EngageMinds HUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center sono svolte con la collaborazione di docenti, ricercatori ed esperti qualificati di diversi settori disciplinari (psicologia; scienze agrarie, alimentari e ambientali; economia; medicina; giurisprudenza; sociologia; scienze bancarie) a livello nazionale ed internazionale nell'ottica di favorire la transdisciplinarità e il confronto cross-culturale. Il Centro ha tra i suoi obiettivi scientifici primari la generazione e validazione di indicatori e metodi di misura rigorosi e validati per la comprensione dell’esperienza di Engagement, la profilazione psico-sociale degli individui e la progettazione di iniziative di comunicazione/educazione volte a sostenerne il cambiamento comportamentale.