Quando la voce della vita parla con il linguaggio del diritto: l’importanza di avere buone (e poche) norme, capaci di prendersi cura della vita degli esseri umani perché fatte di “parole giuste”, grazie anche alla letteratura.
In questa intervista il professor Gabrio Forti, docente di Diritto penale e Criminologia e direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale (Asgp), presenta la nuova pubblicazione dell’Alta Scuola dal titolo Le regole e la vita. Del buon uso di una crisi, tra letteratura e diritto (ebook gratuito scaricabile dal sito dell’editrice Vita e Pensiero).


Professor Forti, come nasce questa nuova pubblicazione dell’Alta Scuola “Federico Stella”? «Lo spunto è venuto dal nostro Rettore in risposta a una richiesta su che cosa potesse fare per l’Ateneo la nostra Alta Scuola in un periodo così difficile. Ne è nata l’idea di un contributo a una presenza culturale dell’Università Cattolica nella crisi in corso, originariamente pensato come raccolta di brevi video da mettere sui canali web. Solo dopo è balenato il proposito di farne un ebook, quando, come primo risultato, mi sono trovato davanti un concerto di giovani voci distinte ma ben armonizzate, davvero una mirabile unità nella molteplicità. È anche uno dei tratti caratterizzanti del nostro gruppo, cui si addice la figura del poliedro evocata da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium che non a caso abbiamo adottato come emblema dell’Alta Scuola. Ma è stato anche decisivo, per il passaggio dai video a un testo scritto, il sostegno convinto di Aurelio Mottola, il Direttore della casa editrice Vita e Pensiero, che ha creduto in questo progetto e ha subito accettato di farne un ebook da mettere a disposizione di tutti, gratuitamente. L’origine multimediale dell’iniziativa si è conservata con i collegamenti ai video incorporati nell’indice del libro».

Come si struttura la pubblicazione riguardo ai temi? «Il sottotitolo, “tra letteratura e diritto” rispecchia bene la struttura del libro. La mia Introduzione ha cercato di costruire una cornice di senso su due idee portanti. Da lì si passa a vari contributi squisitamente gius-letterari, ossia accordati sull’esperienza che coltiviamo da oltre dieci anni di seminari e pubblicazioni dedicati al rapporto tra giustizia e letteratura. Seguono poi interventi più mirati su questioni di diritto penale, tanto specifiche quanto rivelatrici di problemi più generali che l’attuale emergenza ha sollevato drammaticamente. Nodi che, come molti altri venuti alla luce in questo periodo, hanno profonde radici nel passato del nostro Paese e avranno ramificazioni estese nell’immediato futuro».

Quale collegamento esiste tra la pandemia, il diritto e la letteratura? «Ne segnalo uno, fra i tanti. In questo periodo anche le persone abituate a considerare le regole come qualcosa cui obbedire solo per non incorrere in qualche spiacevole sanzione, si può dire abbiano vissuto profondamente il senso del loro rispetto come rispetto per gli altri e quindi per se stessi; e questa consapevolezza si è generata perché dietro lo schermo formale delle prescrizioni si potevano intravedere le conseguenze esistenziali della trasgressione. Di qui una complessiva disciplina nell’osservarle che ha stupito tutti, in Italia e all’estero. Si sarebbe preferito non doverlo apprendere così dolorosamente, ma quanto stiamo vivendo ha mostrato, meglio di tanti corsi di educazione alla legalità, l’importanza di avere buone (e poche) norme, capaci di prendersi cura della vita degli esseri umani perché fatte di “parole giuste”, grazie anche alla letteratura».

Quale è il “buon uso” di una crisi per il giurista? «I professionisti del diritto e soprattutto i legislatori dovrebbero fare buon uso della crisi traendone nuovo impulso per lavorare a un sistema giuridico più essenziale, meno oscuro e pletorico, in quanto tale preoccupato prima che di costringere, di convincere all’osservanza delle regole di convivenza.

Insieme ai richiami letterari vengono affrontati temi cogenti del diritto: responsabilità medica, la situazione delle carceri, sanzione penale e fake news, reati economici, l’elaborazione delle norme al tempo della crisi... «In effetti è un concentrato di temi penalistici importanti, tanto è vero che li abbiamo pensati anche per i nostri studenti, come preziosa occasione didattica per favorire una comprensione profonda del senso di quanto studiano, colto dalla voce della vita che qui parla con il linguaggio del diritto».

Quale il contributo dei penalisti alla crisi da Coronavirus? Quale il messaggio che l’Alta Scuola, anche tramite i giovani ricercatori, vuole dare al Paese in questo frangente? «Dovremmo trarre tutti da questa dolorosa esperienza una forte spinta a interiorizzare il senso del limite e il rispetto degli altri e dell’ambiente in cui viviamo, affinché questi limiti non ci vengano imposti con la forza irrefutabile delle cose o arbitraria di certe leggi, mettendo a quel punto a repentaglio i fondamenti dello Stato di diritto e quindi la nostra libertà. Si deve vigilare perché non vengano spianate le solite potenti “armi di distrazione di massa” che impediscono di vedere le radici sistemiche delle insufficienze con cui abbiamo fronteggiato la crisi. Tra queste “armi” una delle più temibili è la ricerca di nemici o capri espiatori. Ogni penalista “di buona coscienza” - e quindi anche ogni componente della nostra Alta Scuola - conosce bene i guasti prodotti da queste tentazioni antiche come il mondo. Tra essi quella che il grande giurista toscano Francesco Carrara chiamava la “nomorrea”, ossia l’inflazione di norme e, soprattutto, di sanzioni con cui si mascherano sotto una coltre di finto decisionismo i deficit di studio e comprensione dei problemi complessi. L’auspicio è che quanto accaduto spinga a elevare a livelli più decorosi di quelli attuali con l’investimento, materiale e morale, in istruzione, formazione e ricerca: il miglior antidoto al “virus” del populismo penale e dei danni che ne derivano, a cominciare dall’“epidemia” del difensivismo, di cui la cosiddetta medicina difensiva è una delle manifestazioni, ma che grava pesantemente su ogni campo della nostra vita civile».