Si chiama Almerina Mascarello la prima donna italiana a testare una speciale mano bionica capace di restituire il senso del tatto. A raccontare all’Adnkronos Salute la sua storia, descritta anche dalla Bbc, è Paolo Maria Rossini (nella foto a sinistra), Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore dell’Area Neuroscienze del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, che ha seguito la paziente. «Abbiamo operato, grazie all’intervento del nostro neurochirurgo Eduardo Fernandez, e seguito dal 2009 fino ad ora 5 persone, nel corso della sperimentazione di una mano bionica in grado di restituire il senso del tatto, e Almerina è stata la prima donna, la prima italiana e la prima a indossare l’impianto per sei mesi, anche al di fuori del laboratorio. È andata al ristorante, ha raccolto dei fiori, ha fatto cose normali in situazioni normali», dice Rossini.
Un’esperienza incredibile per Almerina Mascarello, che ha perso la mano sinistra in un incidente quasi un quarto di secolo fa, e ha commentato alla Bbc: «È quasi come se fosse tornata di nuovo». Nel 2014 lo stesso gruppo internazionale ha “prodotto” la prima mano bionica “sensibile”, ma l’attrezzatura sensoriale e informatica a cui era collegato l’arto era troppo grande per poter lasciare il laboratorio. Ora la tecnologia è abbastanza piccola da stare in uno zaino, che il paziente porta sulle spalle.
Il team responsabile dello sviluppo del progetto comprende ingegneri, neuroscienziati, chirurghi, esperti di elettronica e robotica provenienti da Italia, Svizzera e Germania. «In Germania hanno messo a punto gli elettrodi, a Losanna il software e noi ci siamo occupati dell’impianto, nel primo caso insieme al Campus BioMedico, nel secondo e terzo con il San Raffaele Pisana, mentre negli ultimi due tutto è stato fatto alla Cattolica». Sempre, sin dall’inizio, il gruppo del professor Silvestro Micera (Scuola Normale S. Anna di Pisa e Politecnico Universitario di Losanna) e numerosi giovani ricercatori da varie nazioni europee (incluso il Gemelli e la Cattolica) hanno contribuito in modo formidabile allo sviluppo delle varie componenti del progetto di ricerca.
Ma come funziona il dispositivo? La mano protesica ha dei sensori che rilevano informazioni sulla consistenza di un oggetto. Questi messaggi sono inviati a un computer in uno zaino che converte i segnali in un linguaggio che il cervello è in grado di comprendere. L’informazione viene trasmessa al cervello – in questo caso di Almerina – tramite microscopici elettrodi impiantati nei nervi della parte superiore del braccio. Nei test, Almerina – che era bendata – è stata in grado di dire se l’oggetto che stava toccando era duro o morbido, cilindrico o rotondo… «La sensazione è spontanea – ha raccontato la donna alla tv britannica – come se fosse la tua vera mano. Sei finalmente in grado di fare cose che prima erano difficili, come vestirti, indossare scarpe, tutte cose banali ma importanti. Ti senti completo».
«Stiamo andando sempre più nella direzione dei film di fantascienza, come la mano bionica di Luke Skywalker in Star Wars – spiega Silvestro Micera, un neuro-ingegnere dell’Epfl di Losanna e della Scuola Sant’Anna di Pisa – una protesi completamente controllata e totalmente naturale, identica alla mano umana». «Ci stiamo avvicinando sempre più a una mano naturale – concorda Rossini –. Ora è anche sensorizzata». E la ricerca va avanti. «Tutto è stato miniaturizzato e studiato in modo tale che il prossimo paziente a completare la parte sperimentale in teoria potrebbe indossare gli elettrodi a vita», spiega il neurologo della Cattolica.
Almerina è stata in grado di indossare la mano bionica per sei mesi, ma ora il prototipo è stato rimosso. La speranza è quella di arrivare a ulteriori miniaturizzazioni. «A quel punto servirebbero delle aziende per la produzione della mano bionica e per l’assistenza tecnica, sia dal punto di vista meccanico che del software», conclude Rossini.