Una pandemia non l'aspettava sicuramente nessuno. Nemmeno, per quanto sempre pronti e educati, nelle aule e in tirocinio, a prepararsi a ogni “allerta”, i medici più giovani, particolarmente i neolaureati, in questa emergenza direttamente "in campo" senza dover sostenere l'esame di abilitazione. Abbiamo raccolto alcune delle loro storie
Iniziamo il nostro viaggio dai medici in servizio nell'Unità Operativa Complessa di Malattie infettive della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, diretta dal professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all'Università Cattolica.
Il primo a intervenire è il dottor Arturo Ciccullo (primo a sinistra nella foto in alto), specializzando in Malattie infettive e tropicali della facoltà di Medicina e chirurgia, attualmente dirigente medico al Columbus Covid-2 Hospital, cui chiediamo qual è stata la prima sensazione che ha provato all'annuncio dell'emergenza sanitaria e com'è cambiata la sua vita professionale in reparto e nell'assistenza quotidiana,
«Sembrerà banale, ma è molto difficile poter definire bene quello che si prova in un momento come questo. Vi è sicuramente la preoccupazione per lo stato di emergenza e per la salute dei propri cari, unita però alla voglia di farsi trovare pronti al fine di assistere al meglio i pazienti. Io personalmente sono stato assegnato a un reparto di degenza interamente dedicato a pazienti con Covid-19 e mi sono trovato quindi a fronteggiare in prima persona la malattia e ad assistere questi malati che hanno bisogni assistenziali peculiari e differenti rispetto a quelli con cui eravamo abituati a confrontarci. Una sfida sicuramente stimolante sia dal punto di vista scientifico che umano».
La Uoc di Malattie infettive è, per vocazione, competenza e professionalità, sempre pronta in questo campo. Ma com'è modificato l'approccio clinico e scientifico di fronte a questa particolare e sfidante pandemia? «Sicuramente la nostra Uoc di Malattie infettive, e i professionisti che la compongono, già in passato si sono trovati a fronteggiare emergenze sanitarie, penso per esempio ai primi anni dell’Hiv/Aids o al più recente pericolo dell’arrivo di Ebola in Italia, fortunatamente poi non verificatosi. Proprio le esperienze maturate dai colleghi “veterani” fungono quotidianamente da guida per noi giovani, in particolare in questi momenti così tumultuosi. L’attuale pandemia, per la sua novità e per la sua storia naturale fatta di rapido peggioramento della funzionalità respiratoria nei casi più severi, sta richiedendo un approccio multidisciplinare al malato, con il continuo confronto tra diversi specialisti (infettivologo, pneumologo, intensivista) e la necessità di basare la propria pratica clinica sull’evidenza scientifica, che è in continuo aggiornamento».
Vuole raccontarci un episodio, un dialogo, una fra le esperienze personali più significative di questi giorni? «Sono state diverse, in questi ultimi giorni, le esperienze che mi hanno colpito; inevitabile, trattandosi di una situazione così particolare per i nostri pazienti e per le loro famiglie, private della possibilità di visitare (e consolare) i propri cari. Due giorni fa, mentre accoglievo in reparto un paziente proveniente dal pronto soccorso, mi ha rivelato che la notte precedente suo padre era morto presso un altro nosocomio della stessa malattia e che lui non aveva avuto l’opportunità né di sentirlo né di vederlo negli ultimi giorni. Sinceramente, è stato un momento davvero particolare e segnante».
Cosa sta imparando e cosa pensa che ci lascerà questa esperienza, come professionisti e come persone? «Lavorare in questo contesto emergenziale, sta contribuendo a plasmare la mia figura professionale sia dal punto di vista scientifico che umano. Trattasi di una patologia con andamento clinico incerto e caratterizzata dalla possibilità di un rapido declino, per cui sicuramente pone continue sfide nella gestione dei pazienti ricoverati. Come professionisti, ci lascerà un grande bagaglio di esperienza per farci trovare pronti alle prossime sfide; come persone, io spero e credo che ci rafforzerà nello spirito e ci darà un rinnovato senso di vicinanza e fratellanza».
Primo di una serie di articoli dedicati ai nostri medici in prima linea nella lotta al Coronavirus