«La promozione della Salute procreativa è oggi un’importante sfida, a fronte di preoccupanti fenomeni: l’aumento progressivo delle condizioni di fertilità e sterilità e la scarsa attenzione alla salute preconcezionale, insieme all’assenza di politiche di sostegno alla vita e alla famiglia. In questo contesto abbiamo sentito la necessità di istituire un nuovo Centro di Ricerca per studiare e promuovere, attraverso la visione, la riflessione e la formazione, nuovi interventi a supporto dei decisori e della società con un approccio multidisciplinare» così la professoressa Maria Luisa Di Pietro, docente di Medicina legale all’Università Cattolica, introducendo il webinar “Sempre più tardi, sempre meno: la sfida della natalità in Italia” trasmesso il 20 ottobre e promosso dal nuovo Centro di Ricerca e Studi sulla Salute Procreativa (CeSP) della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica.
«Il titolo scelto per questo incontro è molto esplicito riguardo alla sfida della natalità in Italia» ha detto il vescovo monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, nel saluto iniziale. «Abbiamo una serie di dati che determinano oggettive preoccupazioni, mentre registriamo ogni anno un calo costante della natalità nel nostro Paese e le decisioni di aprirsi alla vita sono sempre più tardive. Il Centro di Ricerca che viene presentato oggi si pone l’obiettivo di creare una cultura attenta alla scelta generativa, che è un aspetto antropologico sostanziale poiché i legami più forti e significativi dell’uomo si esprimono proprio nella sua dimensione feconda, per poter offrire un contributo nel determinare un’inversione di tendenza».
«Oggi trattiamo di un tema davvero di grande attualità» ha detto il professor Giovanni Scambia, docente di Ginecologia e ostetricia all’Università Cattolica e Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. «Quando si parla di denatalità si parla di un tema che condizionerà per il futuro tutta la nostra civiltà e tutti i punti di vista oggi collegati sono preziosi per il dibattito comune, soprattutto il tema etico che può conciliare il profilo socioeconomico con l’ispirazione che guida la nostra Università».
«Com’è oggi la popolazione italiana? Quella dell’età non è più una piramide: oggi ci troviamo di fronte a un “ingrossamento centrale” che, salendo verso l’alto, accentuerà il progresso di invecchiamento - così il professor Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, presentando un’”istantanea” dell’Italia. «Questo processo sta modificando il patrimonio demografico del Paese, cioè gli anni di futuro che un popolo si trova ad avere e nel 2020 la strada da compiere per la popolazione è più breve della strada già compiuta. Ora la natalità non contribuisce a tenere in piedi questa dimensione: sono 11 anni che il numero dei nati diminuisce e sono 7 anni in cui si determina il numero più basso di nati nella storia d’Italia. Senza considerare gli effetti della pandemia, che sta provocando una diminuzione del patrimonio demografico, ci aspettiamo che nel 2020 la natalità continui ad essere ancora più bassa».
«Questa nostra epoca è caratterizzata da un paradosso: il desiderio di avere figli da parte delle coppie è molto elevato e, al tempo stesso, si registra un calo del tasso di fertilità» così il professor Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. «La matrice culturale dell’individualismo libertario spiega perché le giovani coppie non hanno la stessa propensione alla generatività delle coppie del passato. Un’altra spiegazione è economica: i bassi salari e la precarietà permanente nel mondo del lavoro scoraggiano le giovani coppie dal mettere al mondo figli. Quindi, si affiancano le spiegazioni in chiave socio-psicologica. Ognuna di queste spiegazioni contiene una parte di verità. L’approccio corretto è quello della sostenibilità integrale: tutte le dimensioni che caratterizzano l’umano e la società devono essere prese contemporaneamente in considerazione, Che cosa si può e si deve fare in questa situazione? Anzitutto, diffondere l’idea che generare figli non è solo un atto privato, ma sociale. Quindi, chiarire che il lavoro di cura dei figli si estende almeno su due decenni, non solo nei primi mesi di vita o fino all’infanzia, considerando questo un investimento produttivo e non un costo. Infine, bisogna comprendere che la famiglia non è mai stata un ente autosufficiente: essa può funzionare solo all’interno di una comunità».