di Valentina Filippini *
Due mesi di volontariato in una Ong sono un’opportunità senza precedenti per chi studia cooperazione allo sviluppo. Arrivata a Dakar mi sono confrontata con le mie più grosse paure: quelle di scoprire che forse il mio percorso di studi, la mia volontà di entrare a far parte di quel mondo non erano, in realtà, adatti a me. Avevo il timore di scoprire che quanto amo nella teoria non lo sia anche nella pratica. In verità, affrontare una nuova realtà è stato l’aspetto più gratificante di questa esperienza. Mi ha permesso di vestire per due mesi i panni di chi, da molti anni, ha deciso di dedicare la propria vita a questo lavoro e di capire che era il sentiero che avrei voluto intraprendere in futuro.
I nostri compiti, prevalentemente da ufficio, ci hanno permesso di mettere in pratica quanto imparato sul project cycle management e di capire anche cosa serve, oltre alla formazione universitaria, per approcciarsi al mondo del lavoro permettendo così di comprendere cosa portare preziosamente nel mio bagaglio personale.
Questa non è stata solo un’esperienza professionalizzante ma una vera e propria lezione di vita. Uscire dalla propria quotidianità, dalle proprie abitudini e dai propri ritmi ti spinge a confrontarti con altri aspetti della vita che probabilmente non metteresti in questione prima. Vivere due mesi con chi ti ha aperto la propria casa, la propria vita e trasmesso la propria passione per il lavoro è stata una grande opportunità di crescita. Abbiamo imparato molto da Paola e Stefano, la giovane coppia che da ormai diversi anni porta avanti i valori del Vis - Volontariato internazionale per lo sviluppo, l’Ong con cui sono partita insieme alla mia compagna di studi Inès.
Vivere in Senegal per due mesi rimane un periodo forse troppo breve per inserirsi e immergersi completamente nella cultura delle persone con cui vieni a contatto. Gli stimoli sono stati molti ma sufficientemente forti da rimettere in questione tanti aspetti della nostra vita quotidiana, personale, professionale. Lo scopo infatti non era quello di comprendere a 360 gradi le usanze e la cultura di una nazione, ma di comprendere innanzitutto quale significato portano veramente parole quali fratellanza, gratitudine, crescita.
Partendo per un’altra realtà mi sono così confrontata non solo con un mondo diverso, ma ho avuto la possibilità di misurarmi anche con me stessa, ritrovarmi negli sguardi incrociati in questi mesi, nelle strette di mano, nel calore delle persone. Mi sono affacciata su di un mondo che sembra a primo impatto tanto diverso (qualcuno direbbe anche troppo) ma dove, con una lente d’ingrandimento e con uno sguardo più attento, riflette delle somiglianze forti e chiare.
Questa esperienza, questo percorso è stato un viaggio. Come dice Claudio Magris, “viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un'altra”. Queste parole lette in passato si sono rivelate limpide e con tanta naturalezza hanno accompagnato il mio percorso.
Tornata a Milano, mi sono sentita quasi spaesata. Ho avuto inizialmente difficoltà ad ambientarmi, a riprendere la vita che avevo lasciato in sospeso in questi mesi. Per i corridoi dell’università mi sentivo però diversa, cresciuta, grata e consapevole di ciò che questo viaggio aveva generato in me.
Ho avuto l’occasione di confrontarmi con i nostri compagni di corso, molti dei quali partiti grazie al Charity Work Program per una esperienza all’estero. Mi sono intrattenuta in particolare con Alice, una ragazza partita anch’essa con il Vis in Ghana. Senza bisogno di parole, ci siamo rese conto di quanto questa esperienza in verità è stata per noi un benvenuto nella grande famiglia del Vis e della cooperazione.
* 25 anni, di Breno (Bs), secondo anno della laurea magistrale in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, facoltà di Scienze politiche, campus di Milano