di Andrea Canova*
Cinquecento anni fa, il 20 settembre 1519, una piccola flotta di cinque navi spagnole poste sotto il comando dell’ammiraglio Ferdinando Magellano salpava dal porto di Sanlúcar de Barrameda alla ricerca di una nuova rotta per le Isole Molucche.In quella parte dell’Indonesia nascevano infatti i chiodi di garofano e le noci moscate, costosissime spezie vendute a peso d’oro nei mercati occidentali e oggetto del desiderio di commercianti e governi.
Cominciava così uno dei viaggi più straordinari che la storia ricordi: la prima circumnavigazione del globo terrestre. La spedizione fu anche una delle più drammatiche e bastano pochi numeri a tracciarne il bilancio; infatti dei circa duecentocinquanta uomini partiti a bordo delle cinque imbarcazioni, trentasei superstiti stremati e denutriti ricondussero in Spagna la sola fatiscente Victoria il 6 settembre 1522. Magellano non ce l’aveva fatta; era stato ucciso da indigeni filippini il 27 aprile 1521 durante un’inutile dimostrazione di forza militare.
Proprio Magellano, tuttavia, resta il simbolo eroico di quell’impresa. Non avendo convinto il suo re Manoel I a finanziare la missione, si era rivolto agli avversari spagnoli trovando l’appoggio del re Carlo I (colui che di lì a poco sarebbe diventato l’imperatore Carlo V). E così era partito, capo non incontrastato di un equipaggio misto di uomini d’ogni provenienza, ma nel quale gli ufficiali spagnoli non gli nascondevano diffidenza e ostilità, fino ad ammutinarsi e a ricondurre in Spagna anzitempo uno dei vascelli.
La spedizione e il suo racconto segnarono indelebilmente la storia del mondo moderno: quel mondo la cui immagine veniva così completata da aggiunte sostanziali. Non solo il passaggio a sud-ovest verso il Pacifico (lo stretto che ancora mantiene il nome di Magellano), ma anche le coste dell’America meridionale, l’Oceano Pacifico stesso e i suoi arcipelaghi; il planisfero si arricchiva insomma di luoghi e distanze mai immaginati prima.
La circumnavigazione poté entrare nella storia e rifondare almeno in parte l’immaginario esotico europeo dei secoli successivi soprattutto per merito di chi la raccontò. Il cronista più importante fu il vicentino Antonio Pigafetta, uno dei pochi sopravvissuti, che raccolse in una bellissima Relazione gli accadimenti dei tre anni, le caratteristiche dei luoghi visitati, i costumi e persino le lingue dei popoli con cui poté entrare in contatto. Al testo arrise un’enorme fortuna editoriale, ma circolò in una forma scorretta e male tradotta fino alla fine dell’Ottocento, quando fu recuperata la sua versione originale in un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Il racconto è al tempo stesso un attendibile reportage scritto in prima persona e un repertorio di memorie letterarie dell’autore: al suo fascino non si sono sottratti grandi contemporanei come Gabriel García Marquez e Bruce Chatwin. Pigafetta si dichiara fin dall’inizio lettore di libri di viaggio e anzi afferma che proprio quei libri lo hanno spinto a imbarcarsi con Magellano per dar prova di sé e per conquistare qualche celebrità presso i posteri. Così le pagine di Marco Polo, di Cristoforo Colombo, di Amerigo Vespucci e di tanti altri che già avevano portato immagini lontane alle fantasie europee entrano nella Relazione, senza impedire al suo autore di registrare con precisione nuove parole e nuove istantanee da mondi altri. A dimostrazione che ogni avventura comincia molto prima che la nave salpi.
*docente ordinario di Filologia italiana