Paolo Balduzzi, ricercatore di Scienza delle finanze, affronta il tema dell’istruzione, ricordando in particolar modo come la questione ancora una volta non abbia rappresentato una priorità né durante l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 né nella fase della ripresa del Paese. Pubblichiamo la parte iniziale dell’articolo comparso sul quotidiano Il Messaggero sabato 6 giugno
di Paolo Balduzzi *
Nella girandola di numeri, cifre e progetti che imperversano sulle prime pagine dei giornali e sulle bocche e - si spera - anche le scrivanie dei politici, brilla e preoccupa l’assenza di quello che dovrebbe essere invece un elemento fondante di ogni società, ancor di più in una fase di ricostruzione come quella che ci aspetta: la scuola. Non che prima dell’emergenza coronavirus il tema scaldasse particolarmente il cuore del legislatore (quello in carica e molti di quelli che lo hanno preceduto).
Basta uno sguardo alle cifre per ricordarci che l’istruzione, ad ogni ordine e grado, non è certo mai stata una priorità: la spesa per l’istruzione in rapporto al Pil è infatti inferiore al 4% nel nostro Paese, ben al di sotto della media Ue (5%).
A poco serve ricordare che siamo il Paese più anziano dell’Unione Europea (e il secondo al mondo), perché anche guardando ai dati pro capite aggiustati per l’età la situazione resta drammatica e migliora solo di poco. Volendo poi andare oltre alle cifre, che ovviamente raccontano solo una parte della realtà, la cronaca di questi ultimi mesi ci ha raccontato la storia di un Paese che ha dovuto affrontare molte difficoltà, che ha saputo meritoriamente risolverne alcune ma che non ha voluto occuparsi davvero di altre.
Lo sanno bene i 7 milioni di alunni e studenti, di cui oltre 200.000 con disabilità, che da un giorno all’altro hanno perso il contatto con le loro insegnanti, con i loro professori, con i compagni di classe, e che ancora oggi non sanno se, quando e come torneranno in classe a settembre; lo sanno bene le loro famiglie, composte da genitori trasformati improvvisamente in docenti, provvisti di nessuna formazione specifica e armati solo - nella migliore delle ipotesi - di un tablet e di tanta buona volontà; e lo sanno bene i docenti, oggi più di ieri divisi tra chi a distanza ha lavorato in maniera ancor più impegnata e creativa di prima e chi invece si è adagiato, senza che il giudizio e la soddisfazione di alunni e genitori possa mai riconoscere e valorizzare concretamente l’impegno dei primi.
L’ultimo esempio di questa atavica pigrizia del legislatore sul tema è la sorte del cosiddetto “decreto scuola” che, per colpevole indecisione e divisione della maggioranza, nonché per colpevole ostruzionismo dell’opposizione, rischia di decadere se non verrà definitivamente approvato entro domenica. E con esso i finanziamenti che, tra le altre cose, dovranno permettere di svolgere in sicurezza gli imminenti esami di maturità. Eppure l’occasione è davvero unica. Lo si è già ormai scritto alla noia, commentando le grandi opportunità che le risorse a disposizione nei prossimi mesi e anni possono offrire al Paese.
* Ricercatore in Scienza delle finanze, Dipartimento di Economia e finanza, Università Cattolica del Sacro Cuore
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